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Ora gli amichetti di D’Alema rischiano il carcere (dopo averlo fatto sognare)

MilanoE adesso gli amichetti di Massimo D’Alema rischiano il carcere. A partire da Giovanni Consorte, il presidente di Unipol che il 7 luglio 2005 comunicò a «Baffino» che la conquista della Banca nazionale del Lavoro era cosa fatta. «E vai, facci sognare!», festeggiò D’Alema. Quell’intercettazione nel processo non è mai entrata, perché D’Alema si è trincerato dietro l’immunità parlamentare (a differenza del suo successore Piero Fassino, che non si è mai opposto alla trascrizione del suo «Abbiamo una banca!»). Ma per quella conquista incautamente e prematuramente festeggiata, ieri Giovanni Consorte viene condannato a tre anni e dieci mesi di carcere. Insieme a lui viene condannato a tre anni e sette mesi il suo braccio destro Ivano Sacchetti.
La coppia di dalemiani di ferro che regnava per conto dei Ds sul business delle assicurazioni esce a pezzi dalla sentenza che, dopo tre giorni di camera di consiglio, chiude il processo di primo grado per l’assalto all’Unipol. Insieme a loro vengono condannati al completo il gruppo di ex costruttori rampanti coinvolti nell’operazione - Danilo Coppola, Stefano Ricucci, Giuseppe Statuto - e viene soprattutto condannato l’ex governatore di Banca d’Italia Antonio Fazio, che quell’assalto benedisse in nome della difesa dell’italianità del sistema. Ma è innegabile come il dispositivo della sentenza, letta alle 12 in punto dal giudice Giovanna Ichino, metta al primo posto nella scala delle responsabilità i vertici di Unipol. E non a caso sull’assicurazione rossa si abbatte anche la condanna ai sensi della legge 231, sulla responsabilità penale delle società di capitali.
Insomma, dopo i guai in Puglia del senatore Alberto Tedesco, eletto a Palazzo Madama col placet di D’Alema, e del vicepresidente del Consiglio regionale Sandro Frisullo, anche lui fedelissimo (repentinamente scaricato) di «Baffino»; dopo le vicissitudini giudiziarie a Roma di Vincenzo Moricihini, procacciatore di fondi per la fondazione dalemiana «ItalianiEuropei», messo sotto inchiesta dal pm Paolo Ielo a margine dell’inchiesta Enav; ora è dal tribunale di Milano che arriva la sanzione più esplicita - perché qui non si parla più di indagini, ma di una sentenza arrivata al termine di un processo lungo e approfondito - di come funzionasse il comitato d’affari che faceva esclamare a D’Alema «facci sognare».
La sentenza arriva a oltre sei anni dai fatti, ma il tempo non è passato invano. Perché quanto nel frattempo si è scoperto su altri fronti e su altre inchieste aiuta a capire come l’operazione Unipol non nascesse per caso, e come fosse intimamente collegata ad altre operazioni tutte legate alla finanza rossa. Come l’operazione Serravalle, che vede oggi indagato Filippo Penati, già numero 1 dei Ds a Milano: la Procura di Monza sospetta che proprio dalla gigantesca plusvalenza garantita da Penati al costruttore Marcellino Gavio sia stata foraggiata in qualche modo la scalata Unipol, attraverso il Fiorani della Popolare di Lodi (che dal processo Unipol si è sfilato a suo tempo patteggiando la pena). O come l’affare Telecom: dove un altro dei condannati di ieri, il finanziere bresciano Emilio Gnutti (tre anni e mezzo anche per lui, nonostante la Procura lo avesse proposto per l’assoluzione) fece i soldi con la cessione dell’azienda a Pirelli insieme al famoso Oak Fund («Fondo della Quercia»), e girò cinquanta milioni di euro alla coppia Consorte-Sacchetti.
Insomma, l’affare Unipol come finestra e sintesi del rapporto sotterraneo tra politica e quattrini nell’epoca del pragmatismo dalemiano. Giovanni Consorte ieri la prende male, «è una sentenza ingiustificabile, sono un capro espiatorio». Può sperare nella prescrizione, certo. Ma non arriverà prima del dicembre 2012.

E se il nuovo presidente della Corte d’appello milanese, Giovanni Canzio, manterrà le sue promesse, il processo di secondo grado potrebbe celebrarsi in fretta.

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