Il mondo è appeso ai pazzi. Nove anni fa, oggi, sempre. Undici settembre 2010: raccontiamo storie che nascono nel 2001 eppure riescono a mettere (...)
(...) in secondo piano due aerei che entrano nelle torri e sconvolgono per sempre lumanità. Cè sempre qualcosa che tira di più: oggi è il pastore Terry Jones e la sua paranoia anti-islamica, come prima erano le teorie del complotto, come prima ancora era la guerra in Irak. Adesso è stato dato così tanto spazio alle scellerate idee di questo signore della Florida che finiremo per pensare che sia davvero qualcuno che conti. Rappresenta se stesso e un manipolo di invasati. Personifica la voglia di speculare su una tragedia mascherata da battaglia per lidentità culturale e religiosa. I giornali, internet, le tv hanno dato così credito a questo signore da far immaginare che sia pazzo tanto quanto laltro folle da cui parte questa storia: Osama bin Laden.
La realtà è che dall11 settembre 2001 ciò che sconvolge il mondo ogni giorno è la consapevolezza di essere sotto scacco della follia personale. Oggi sappiamo che entrando nelle nostre metropolitane, negli alberghi, salendo sui treni o sugli aerei potremo essere vittime di un solo uomo o una sola donna che in nome di una guerra di civiltà vera o presunta è capace di uccidere tutti e poi se stesso. Abbiamo scoperto la vera paura, nove anni fa. Sappiamo che sarà difficile vedere un nuovo 11 settembre nella nostra vita, ma non sarà così difficile vedere unaltra Madrid, unaltra Londra, unaltra Bali: tutti attentati che hanno fatto meno morti di quelli di New York, ma che hanno raccontato sempre la stessa cosa. E cioè che il terrorismo islamista può colpire chiunque e ovunque.
Il reverendo Terry Jones è una conseguenza: una deformazione delle nostre paure, un personaggio a caccia di visibilità che ottiene quello che vuole. Perché lui cercava notorietà e lha trovata: pur non essendo nessuno ha tenuto sotto schiaffo il mondo perché ha saputo gestire la comunicazione come pochi. Ci sono cascati i mezzi di informazione e con loro la gente: abbiamo lasciato che ci lasciassero quasi pensare che lAmerica tutta è come Terry Jones e i suoi seguaci. Non è così. Gli Stati Uniti soffrono e poi si rimettono in cammino. Piangono e poi riprendono a lavorare. L11 settembre è una ferita fresca dopo nove anni, ma non alimenta odio, né presuppone vendette. Gli americani non vogliono la fine dellislam, cercano soltanto un modo per evitare che accada di nuovo ciò che nessun altro ha vissuto e quindi nessun altro può capire. Non è una colpa, questa. Così come non è una colpa non volere una moschea vicino al luogo nel quale il terrorismo islamista ha massacrato tremila americani innocenti. Il problema è che la situazione politico-sociale degli Stati Uniti di oggi è più difficile di qualche tempo fa. Perché Terry Jones parla questanno? Perché nel 2009 nessuno aveva pensato di bruciare il Corano? La posizione di Obama sulla moschea a New York ha acceso un dibattito sullislam che si era fatto più blando. Luscita del presidente è stata infelice perché troppo vicina all11 settembre. Cè poi una situazione più instabile negli Stati Uniti: la sicurezza nazionale aveva smesso di essere largomento più importante per gli americani, che negli ultimi due anni si sono preoccupati molto di più del precario stato della loro economia.
Adesso che lentamente leconomia comincia a riprendersi, la paura del terrorismo torna a essere lincubo più profondo del Paese. Poi savvicinano le elezioni di mid-term: lopposizione repubblicana alimenta le difficoltà dellamministrazione Obama a gestire la crisi, ma anche il sospetto che il presidente non sia abbastanza capace di tenere al sicuro gli americani. Ecco perché la storia della moschea è stato un autogol della Casa Bianca. Inopportuna come tempi e come modi, non nella sostanza, perché lAmerica rispetta da sempre ogni Dio e ogni Fede. Non cambierà adesso, visto che non è cambiata nove anni fa.
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