Ora è la Bielorussia che nasconde Maria

Ora è la Bielorussia che «rapisce» Maria. È la Bielorussia che non rispetta la legge italiana e ignora le disposizioni dei magistrati. È la Bielorussia che fa quello per cui ha chiesto (e ottenuto) a giudici e carabinieri italiani di perseguire i coniugi Alessandro e Chiara Giusto. Ieri l’ambasciatore Alexei Skripko e il tutore della bambina minorenne erano stati convocati dalla Corte d’Appello di Genova, ma non si sono presentati. Non hanno neppure ritenuto doveroso presentare una memoria difensiva. Non hanno avvertito la corte della loro assenza. Semplicemente si sono tenuti la bambina, e non hanno dato notizie. Proprio come avevano fatto i coniugi Giusto quando avevano cercato di nascondere Maria per evitarle di tornare in Bielorussia.
Con una differenza. Che Maria (o Vika, come davvero si chiama la bambina) con le «nonne» italiane ci stava volentieri, mentre ora si sente «tradita» visto che neppure a Natale ha potuto riabbracciare quella che ha sempre ritenuto la sua vera famiglia e inizia a temere che tutte le rassicurazioni avute finora siano state solo bugie raccontate per tenerla tranquilla.
Ieri mattina, al dodicesimo piano di palazzo di giustizia, a rispettare le convocazioni regolarmente notificate, c’erano solo le due dottoresse della Asl3, Laura Battaglia e Antonella Simi. E davanti alla corte presieduta da Virginia Sangiuolo si è costituito l’avvocato Gian Paolo Vincenti Mattioli, che con il figlio Francesco Maria e il dottor Saverio Burgaretta, aveva firmato il ricorso contro la decisione del tribunale per i minorenni di autorizzare il rimpatrio di Maria, eseguito con il blitz notturno nell’istituto delle suore di Quinto.
Si è trattato di un’udienza preliminare, durante la quale il procuratore generale ha chiesto di non accogliere l’istanza del legale per «carenza di legittimazione». Un’obiezione alla quale Vincenti Mattioli ha ribattuto dimostrando come le convenzioni internazionali diano il diritto, e prima ancora il dovere, a chiunque di pretendere il rispetto dei diritti dei bambini. Non solo. «La Bielorussia ha accettato la giurisdizione della magistratura italiana quando si è trattato di ottenere la restituzione della minore - ha fatto presente l’avvocato -. Ora, anche come Stato membro dell’Onu e firmatario delle convenzioni internazionali prima citate, non può sottrarsi al giudizio della stessa magistratura».
Cosa che invece la Bielorussia ha fatto, non rispettando il decreto emesso dalla stessa corte d’appello, che disponeva la presenza in aula di Maria, o almeno del suo tutore (il responsabile dell’orfanotrofio di Vilejka) e dell’ambasciatore bielorusso in Italia. La corte genovese ha deciso di valutare le ragioni dell’avvocato Vincenti Mattioli e del procuratore generale. La decisione se andare avanti nel processo verrà presa a giorni. Ma l’udienza di ieri ha già fatto registrare i primi duelli dialettici. Perché il legale genovese che chiede di sottrarre Maria al controllo dello Stato bielorusso ha subito fatto notare ai giudici (oltre alla presidente Sangiuolo, erano presenti il consigliere relatore Realini, il giudice a latere Marcello Delucchi e i componenti privati Matteo Bovone ed Elvezia Benini, entrambi psicologi) quello che era il contenuto delle relazioni delle dottoresse della Asl, Simi e Battaglia. Vincenti Mattioli ha citato le frasi di una perizia eseguita dalle dottoresse in base alla quale «la minore risulta molto preoccupata da un eventuale rientro in Bielorussia», e «nel caso di rientro forzato ha manifestato l’intenzione di morire volontariamente». Questo a causa delle violenze sessuali subite, delle «minacce fatte con accendini e di bambini legati» all’interno dell’orfanotrofio di Vilejka. Naturalmente la relazione portava alla conclusione che Maria non poteva essere rimpatriata. E l’avvocato Mattioli ha chiesto di capire per quale motivo questa opinione è poi mutata nelle relazioni successive delle stesse specialiste. Soprattutto considerando le notizie avute in seguito, anche a mezzo stampa, sulle reali volontà della bambina, che nessun tribunale ha mai deciso di ascoltare, come pure imporrebbero di fare le convenzioni internazionali.
Vincenti Mattioli ha concluso chiedendo l’acquisizione delle prove per il processo direttamente in Bielorussia, con rogatoria internazionale, e una consulenza tecnica d’ufficio. Maria aveva chiesto all’Italia asilo giurisdizionale, non le è stato concesso. «Continuerò a seguire le sorti di questa minore - ha assicurato l’avvocato alla corte -.

Se si prostituirà, se farà uso di droghe, se si ucciderà, saremo tutti responsabili». Ora tocca alla corte d’appello che il primo schiaffo lo ha ricevuto dalla Bielorussia che ha ignorato l’udienza e tenuto la bambina lontana dalla giustizia italiana.

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