Il più infuriato pare sia il miliardario Lord Ashcroft, il principale finanziatore dei Tory. Ha messo 5 milioni di sterline su un'elezione che i conservatori dovevano stravincere e non riesce a darsi pace per l'ingenuità commessa da David Cameron: aver accettato i dibattiti in tv, essere scivolato sui primi due e aver dato troppa visibilità allo sconosciuto Nick Clegg. Ma i mugugni in casa Tory cominciano a fare sempre più rumore. «L'idea della big society? Una cavolata. Impossibile da vendere agli elettori», lamenta un altro deputato conservatore. Mentre il loro leader è alle prese con la trattativa più delicata - il tentativo di trovare un accordo con i liberaldemocratici per andare al governo - molti deputati conservatori, i duri del partito, sono in subbuglio: delusi per il mancato traguardo - la vittoria con una larga maggioranza era un obiettivo possibile e per mesi previsto dai sondaggi - indignati per la linea di credito aperta nei confronti dei liberaldemocratici di Nick Clegg - così lontani per storia e programma dai Tory - e offesi per non essere stato consultati in una fase cruciale per il futuro del Paese e per il proprio destino. La guerra interna è partita, fatta di correnti, di dichiarazioni al vetriolo, di indiscrezioni imbarazzanti e continui logoramenti in stile Prima Repubblica, modello made in Italy. Tutti contro tutti. È una lotta intestina che in questi giorni sta attraversando senza esclusione di colpi bassi non solo il partito Conservatore ma anche gli altri due partiti, il Labour e i Libdem, alle prese anche loro con una resa dei conti intestina degna della peggiore tradizione italiana. Così, magicamente, semmai Cameron raggiungesse il fatidico accordo, nel Regno che oggi sembra molto più «disUnito» di un tempo rischiano di entrare in scena i franchi tiratori, finora quasi sconosciuti nellInghilterra delle maggioranza compatte e invece vecchie conoscenze da questa parte delle Alpi. Sono quei parlamentari convinti che Cameron abbia annacquato la tradizione conservatrice con troppi slogan e pochi valori tradizionali, i deputati convinti che sarebbe meglio un governo di minoranza di soli conservatori per non arrivare ad assurdi compromessi con i Libdem e decisi a mettersi di traverso su alcuni argomenti, dai matrimoni omosessuali allimmigrazione, se il loro leader decidesse di spingere la linea del partito su posizioni troppo progressiste.
Aristocratici e vecchi compagni: nessuno è immune dalle guerre fratricide. Anche in casa Labour il tappo sta per saltare. Il 62% degli inglesi vuole che Gordon Brown ammetta la sconfitta e si dimetta e nel partito ormai cresce la convinzione che se il premier si togliesse di mezzo e se lo avesse fatto immediatamente, unintesa con i Libdem sarebbe stata e sarebbe a portata. Invece i modi brutali e autoritari del leader laburista - che in una telefonata di consultazioni pare abbia fatto saltare i nervi dellinterlocutore Clegg per lennesima volta minacciandolo via cavo - rischiano di compromettere definitivamente le prospettive di intesa e futuro governo con i liberali.
Vinti e vincitori. Il clima caotico di queste ore non risparmia ovviamente Nick Clegg. Ago della bilancia con i 57 seggi a disposizione, Clegg è sotto il pressing delle fronde interne, quella che non vuole unintesa coi Tory - e spera nel cosiddetto governo «semaforo», loro gialli, con i laburisti rossi e i Verdi - e quella più a destra, aperta a unintesa coi Tory ma a condizione che non si rinunci a incassare lobiettivo più importante: la riforma elettorale in senso proporzionale.
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