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Ora Fini chiede la testa di Berlusconi "Fuori dal partito tutti gli indagati"

Il cofondatore del Pdl garantista è diventato giustizialista: non sconfessa Granata e rincara la dose: "Mantenere l’incarico è inopportuno". E attacca la Lega: "Sulle quote latte ha tutelato i furbetti". Bondi: "Parole senza precedenti per un capo della Camera"

Ora Fini chiede la testa di Berlusconi 
"Fuori dal partito tutti gli indagati"

Roma - La battuta, quando cade la linea, è sintomatica: «Sulla legalità c’è qualche interferenza...». Gianfranco Fini, in collegamento telefonico con la convention napoletana di Generazione Italia, ribadisce la sua strategia: continuare a fare il controcanto da dentro. E da ex nero diventa sempre più viola, inteso come popolo. In pratica non sconfessa l’ultrà Fabio Granata, denuncia la monarchia berlusconiana, occhieggia al giustizialismo dipietresco e prosegue nella guerriglia contro il Pdl e il suo principale alleato. E i toni, invece che placarsi, s’impennano.

«Il primo punto fermo è mantenere l’identità e la nostra casa», dice Fini in una sala dove, in fondo, spunta pure uno striscione dedicato a un circolo intitolato a Roberto Saviano. Guai a fare le valigie dal Pdl: meglio, per ora, continuare con l’opera di sabotaggio interno. Fini attacca soprattutto il coordinatore nazionale Denis Verdini e quello campano Nicola Cosentino, entrambi finiti nel mirino delle procure: «Mantenere incarichi per chi è indagato è una questione di opportunità politica che dovrebbe far riflettere», dice tra gli applausi della platea riunitasi all’hotel Ramada. Per i finiani, Urso e Bocchino in testa, non basta che Verdini abbia lasciato il suo Credito cooperativo fiorentino ma dovrebbe alzarsi pure dalla poltrona di triumviro del Pdl. Sull’ex sottosegretario all’Economia, poi, Fini è più che esplicito: «Non ho compreso perché s’è dimesso da sottosegretario ma non da coordinatore del partito in Campania». Insomma, per il presidente della Camera il suo partito è un cesto di mele marce da gettare a mare.

Anche sulla questione Granata, il pasdaran giustizialista secondo cui nel governo c’è chi ostacola la verità sulle stragi di mafia, nessuna presa di distanza, anzi. «Tutte le idee possono essere contrastate - ragiona Fini -, ma combattere le idee con gli anatemi o peggio con le espulsioni ha ben poco a che vedere con un partito liberale». Perché «parlare di legalità non vuole dire essere provocatori, ma è una delle bandiere più belle che il Pdl può portare». Nessun riferimento, invece, all’ex aennino Alfredo Mantovano, attaccato proprio da Granata per la gestione dell’affaire Spatuzza, che ieri ha incassato pure la solidarietà del ministro degli Interni, il leghista Roberto Maroni: «Su di lui soltanto insinuazioni indegne». Già, il Carroccio. Altro fumo negli occhi per i finiani: «Il rapporto con la Lega è importante, strategico. Ma è essenziale ricordare - dice - che il Pdl è un grande partito nazionale, che raccoglie consenso al Mezzogiorno. Abbiamo un dovere morale, oltre che politico, nei confronti del Sud. E questo significa una discussione molto seria su come attuare il federalismo fiscale». Ecco la prossima bomba politica da piazzare sui binari del treno dell’azione di governo: «La spesa storica ha fatto enormi danni al Mezzogiorno, ma passare a quella standard rischia di penalizzarlo se non c’è un lavoro istruttorio che veda il Pdl protagonista». Graffiante anche sulle quote latte, altro tema caro a Bossi: «Le leggi non possono servire per tutelare i furbi e garantire un salvacondotto... Devono servire a ben altro. Per compiacere la Lega s’è messo un emendamento che comporterà sanzioni europee». E giù applausi.

Chi si aspettava una sorta di sconfessione dei suoi nuovi colonnelli più estremisti è rimasto deluso e, anzi, il senatore Pasquale Viespoli, considerato finian-moderato, viene addirittura contestato da parte del pubblico. La linea maggioritaria è quella espressa da Bocchino che spiega bene il sentimento dei frondisti: «Non vogliamo una Forza Italia allargata. Cinque mesi fa abbiamo lanciato i circoli e ora abbiamo superato i 10mila iscritti. Siamo fortissimi».

Poi confessa: «Abbiamo avvicinato altri soggetti: alcuni sono organici al centrodestra, altri provengono dalla sinistra che, delusi, si ritrovano nel rispetto delle regole invocate da Fini». E ancora: «Siamo come dei detenuti a cui negano pane acqua. Il nostro pane e la nostra acqua sono il tesseramento e il congresso».

Insomma, per i finiani il Pdl è un regime da cui, però, non se ne vogliono andare.

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