Gli italiani adorano perdersi nelle quisquilie e così puntualmente avviene anche oggi che la discussione politico-giudiziaria si accanisce sul provvedimento dell’esecutivo avente ad oggetto le intercettazioni. Alla facoltà di giurisprudenza mi accorsi del buio fitto che affliggeva il nostro ordinamento quando studiai diritto processuale penale comparato: ossia la messa a confronto dei principali sistemi giudiziari europei. Scoprii allora che nel mondo anglosassone fino alla sentenza non filtra in televisione nemmeno un’immagine dell’imputato. Niente tv, niente spettacolarizzazione mediatica. Processo e sentenza: tertium non datur.
Garanzia per il presunto criminale di divenire tale solo a sentenza passata in giudicato e non per un megafermo immagine in prima serata a «Porta a Porta». Altro punto saliente è che siamo tra i pochi Paesi sviluppati in cui vige l’obbligatorietà dell’azione penale che nella prassi è divenuta un pretesto nelle mani del pm per avere mano libera e adottare discrezionalmente misure restrittive verso soggetto da individuarsi a suo piacimento. Altra materia giuridicamente rilevante a livello transnazionale è la custodia cautelare e l’idea del cosiddetto mandato d’arresto europeo vincolante per tutti i cittadini appartenenti alla Ue. Questi più o meno i temi di maggior interesse su cui si confrontano fior di giuristi europei, mentre il tema delle intercettazioni appare di scarsissimo rilievo. Tale strumento d’indagine assume in Italia contorni d’interesse eccezionali a causa dell’uso distorto che ne fanno lorsignori procuratori. Siamo un popolo d’intercettati e questo non è giusto, ma il motivo per cui l’esecutivo decida di sanzionare i giornalisti che ne riportano i contenuti nemmeno la più stravagante delle intercettazioni potrà mai svelarlo. Certo è vero, non fa piacere che siano i quotidiani a notiziare gli indagati di tale status processuale, non è degno di uno Stato di diritto che i giornali pubblichino bobine e bobine di dialoghi senza che gli ascoltati lo sappiano e possano tutelarsi. Non è piacevole per l’imputato vedere ai telegiornali interviste ai procuratori sui processi in corso e di show da cinematografo dalla procura di Milano a quella di Santa Maria Capua Vetere incarnata dall’allora procuratore capo nel film «Totò, il diritto e il Guardasigilli mandato a casa».
Questa schifezza non è però certo colpa dei giornalisti, ma di coloro che la cavalcano e governano: e chi sono costoro se non le toghe? Chi da anni utilizza la stampa per mandare avvisi di garanzia o gettare ombre e sospetti su questo o quel personaggio politico? E ora si pretende di sanzionare la stampa prostituta al pari del magistrato pappone se questi trasmette le intercettazioni e il giornalista le pubblica? Suvvia, perché non si vieta invece ai magistrati di andare in tv a parlare dei processi, di candidarsi con questo o quel partito una settimana dopo aver indagato l’avversario. Perché non si riforma veramente la giustizia come da quindici anni tutti si aspettano con l’introduzione del principio di responsabilità del magistrato in modo che costui cominci finalmente a pagare dei propri errori? Prevedere una pesante sanzione pecuniaria al pari per giudici e giornalisti che divulghino intercettazioni significa che le toghe continueranno a rimanere impunite e a non sborsare un penny di tasca propria, mentre il giornalista dovrà vendere casa, salvo che non acquisti un sito internet in uno Stato con leggi diverse e lì pubblichi il contenuto delle intercettazioni.
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