Per decenni ci hanno voluto grassi, servendoci in tavola il modello americano: hamburger, bibite gassate e cibo precotto. Ora che siamo diventati obesi, ci mettono a dieta con linee di barrette sostitutive del pasto, prodotti light, merendine confezionate ma con il 30% in meno di grassi, cibi «senza». Noi seguiamo le nuove tendenze senza porci troppe domande mentre l'industria alimentare fa business sul nostro peso.
Risultato: dopo anni di cibo spazzatura, di cene in busta, da riscaldare per due minuti nel microonde, di colazioni a base di cereali pieni di zuccheri che ci hanno illuso di mangiare sano, la bilancia registra dati sull'obesità imbarazzanti. In base ai dati dell'Organizzazione mondiale della sanità, un italiano su tre è in sovrappeso e gli XXL sono 6 milioni, con una media di 100mila casi in più ogni anno. Non solo, i bambini italiani, imbottiti di snack e succhi pieni di tutto fuorché di frutta, sono i più grassi d'Europa: le taglie forti riguardano il 21% dei maschi e il 38% delle bambine, soprattutto al Sud. La maggior parte di loro ha alte possibilità di diventare un adulto obeso e quindi di portarsi appresso una serie di problematiche di salute, dal diabete ai disturbi cardiocircolatori.
EPIDEMIA INDUSTRIALE
Non a caso i medici lanciano l'allarme e stimano che, entro il 2030, l'obesità sarà un'epidemia mondiale. Già adesso, solo in Italia, comporta costi per il sistema sanitario pari a 4,5 miliardi di euro. Nove miliardi se, oltre alla mera assistenza medica, si calcolano anche fattori sociali come l'assenteismo dal lavoro. L'allarme sanitario è stato lanciato in più Paesi, Italia compresa, tanto da costringere parecchie aziende alimentari a correggere il tiro sui prodotti da lanciare sul mercato, modificando le ricette e riducendo la dimensione delle porzioni. Il vero giro di boa è stato dettato, ça va sans dire, da una questione economica. Da qualche anno i big dell'industria alimentare si sono resi conto che rende molto di più vendere prodotti dietetici anziché ipercalorici. E allora ecco che hanno cominciato a spingere in entrambe le direzioni: cercando di mantenere intatti gli introiti portati dai prodotti «vecchio stampo», quelli con conservanti e grassi, proposti in formati famiglia con il super sconto, e contemporaneamente propongono linee più salutari (ma più costose), senza zuccheri e con l'aggiunta di vitamine, omega3, fibre e quant'altro, dandoci l'illusione che scartare il cellophane di un qualsiasi prodotto «arricchito» di tutte queste cose abbia lo stesso potere nutrizionale di un frutto fresco, o di una verdura che le fibre le ha sì ma non sintetiche.
Il mercato ammette tutto, anche i paradossi. Anni fa, il metodo della dieta «a punti» Weight watchers fu acquistato dalla Heinz, produttrice di uno dei ketchup più noti. I beveroni fragola e cioccolato della Slimfast furono acquistati dalla Unilever, proprietaria a sua volta dei gelati Ben&Jerry e delle salsicce Wall's.
Il nuovo marketing nutrizionale sta cambiando il volto degli scaffali dei supermercati, con tanti esempi di cibi anti taglie extra large. La Danone ha modificato alcuni ingredienti delle sue bevande per ridurre le calorie, Coca Cola e Nestlé hanno rinunciato a pubblicizzare Enviga, una bevanda a base di tè verde che, secondo lo spot, avrebbe aiutato a bruciare grassi (pur contenendo caffeina e dolcificanti). Ferrero ha lanciato il programma Kinder + sport per combattere la sedentarietà e l'obesità infantile, Kellogg's ha limitato la pubblicità con i bambini come protagonisti e nelle fasce televisive destinate ai cartoni animati.
Anche le grosse catene di supermercati cominciano a capire che non si può indurre in tentazione il cliente senza criterio. E allora Unes ha eliminato dagli scaffali davanti alle casse i prodotti ipercalorici ma li ha sostituiti con linee più leggere e sane. Coop ha lanciato la linea Club 4-10, merendine e biscotti per bambini con meno grassi, zuccheri e sale, ma ha dovuto cercare la complicità delle mamme spronandole a resistere al rifiuto dei loro figli e abituarli al cambio di gusto. Auchan ha cercato di collaudare una sorta di bollino blu, indicando i prodotti più sani, ma è alle prese con una polemica sollevata dalle associazioni di consumatori che non vedono «alcun criterio oggettivo e scientifico nella selezione dei prodotti». E ancora, l'Unione nazionale dei consumatori ha denunciato quattro aziende che producono patatine (San Carlo, Amica Chips, Pata e Ica food), multate dall'Antitrust con un milione di euro per le loro pubblicità in cui lasciavano intendere di avere caratteristiche nutrizionali o «vanti di artigianalità».
Infine l'esempio più chiaro fra tutti: Mc Donald's, bersaglio di leggi anti hamburger in numerosi paesi, accusato di incentivare i menù più calorici grazie all'aiuto di pupazzetti e gadget attira bambini, ha lanciato la nuova linea leggera con insalate e macedonie. Insomma, il mercato che ci ha messo all'ingrasso sta cambiando rotta, ben consapevole che il business delle diete e del «light» vale qualcosa come 500 miliardi l'anno in tutto il mondo. La strada da fare per mangiare realmente sano è ancora lunghissima. Per ora ci si deve accontentare di qualche piccolo passo.
LE ETICHETTE TRAPPOLA
Gli esperti di marketing alimentare non hanno dubbi: le confezioni sono piene di «trappole» in cui caschiamo regolarmente ogni volta che riempiamo il carrello. E così, se da un lato sembriamo già esserci disinnamorati del concetto di «chilometro zero», siamo assolutamente attratti dall'abusatissimo «bio», usato anche a sproposito. Ci piace anche leggere in bella vista sulle confezioni «senza olio di palma», inconsapevoli di alcuni dettagli. Uno: l'olio di palma non fa male alla salute ma evitare di utilizzarlo è semplicemente una scelta ambientale per salvare le palme. Due: la scritta compare anche sui prodotti che mai in passato l'hanno utilizzato. Da sempre funziona anche la formula delle merendine «prodotte con latte fresco» (come se le altre lo contenessero cagliato) o delle bevande con succo «di vera frutta». Anche se a volte la quantità si limita a un mezzo cucchiaino, mischiato con coloranti e dolcificanti vari. Le industrie alimentari tengono molto anche a dirci che stiamo acquistando cibo «non Ogm», senza edulcoranti artificiali. «Ma va detto che nessun produttore offre informazioni complete sul suo prodotto - spiega Gianpiero Lugli, autore del libro Cibo, salute e business, per anni professore di marketing a Parma e coordinatore scientifico di Cibus 2018 -. Ad esempio, spesso mancano indicazioni sul glifosato, un erbicida che caratterizza i grani provenienti dal Canada e dagli Usa. Che l'informazione nutrizionale dell'industria sia orientata a sostenere le vendite e non a informare correttamente l'acquirente, lo si evince anche dal fatto che l'Efsa, l'autorità europea per la sicurezza alimentare, boccia attorno al 90% delle richieste di campagne pubblicitarie salutistiche da parte dei produttori industriali».
LA TASSA ANTI CALORIE
In Italia si inizia a discutere di tasse sul cibo spazzatura all'inizio del 2012, con una proposta del governo Monti rimasta sulla carta. Nel 2016 si pensa a un aumento dell'Iva sull'olio di palma, sui grassi idrogenati e a un divieto del junk food nei menù della ristorazione ospedaliera e scolastica. A oggi le misure anti obesità restano ancora pura teoria. Resta invece l'Iva. Al 4% per gli alimenti di prima necessità e alla base dell'alimentazione.
Al 10% per carni di tutti i tipi, pesci, uova, zuccheri, miele, biscotti, caramelle, cioccolato, caffè, yogurt, salse, spezie, omogeneizzati, alimenti dietetici, grassi animali, marmellate, vegetali conservati, aceti, estratti. Infine al 22% per i prodotti ritenuti meno indispensabili o di pregio. Fra questi: alcolici e bevande analcoliche, aragoste, astici, ostriche e tartufi, ma anche sale e acque minerali.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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