da Gerusalemme
È il quarto giorno dattacchi e ora la guerra ha tutti i suoi orrori, tutte le sue paure, tutte le sue angosce. Lorrore dei 21 civili centrati da un missile, dilaniati, carbonizzati mentre fuggono dal loro villaggio nel sud del Libano. Il terrore di un conflitto capace destendersi alla Siria e divorare lintera regione. Langoscia del premier libanese Fouad Siniora che per lennesima volta si rivolge alle Nazioni Unite, implora un cessate il fuoco immediato per una nazione ferita, promette dinviare lesercito a riprendersi i domini del Partito di Dio nel sud del Paese. «Chiediamo un immediato cessate il fuoco appoggiato dalle Nazioni Unite, cimpegniamo a estendere il controllo dello Stato su tutto il territorio dintesa con le forze dellOnu nel sud del Libano» dichiara il primo ministro in un appello alla nazione in cui chiede anche laiuto e la solidarietà della comunità internazionale. «Il Libano è un territorio disastrato, un Paese bisognoso di un vasto e rapido piano dazione arabo, una nazione che implora gli amici nel mondo a correre in suo aiuto».
Il primo straziante massacro di civili, nella giornata in cui il bilancio totale delle vittime libanesi tocca quota 106, si compie sulla strada tra Bayad e Shamaa, una pericolosa ed esposta striscia dasfalto adiacente al confine con Israele. Due famiglie del villaggio di Marawhin hanno appena letto i volantini israeliani che intimano di abbandonare la zona entro due ore, hanno riempito di uomini donne e bambini due minibus, corrono verso la salvezza. Ma dallalto i minivan devono sembrare qualcosaltro. Un aereo israeliano fa partire i missili. Là sotto non cè nulla da fare. I corpi si consumano tra le lamiere carbonizzate senza che nessuno possa prestare soccorso. Nessuno sa neppure dire quanti siano veramente i cadaveri calcinati. Quindici per la polizia, dodici per un fotografo, un numero imprecisato per i portavoce delle forze Onu presenti nella zona. Solo il loro portavoce il libanese Hassan Saklawi cerca di essere più preciso: «Almeno tredici di loro sono bruciati vivi tra le fiamme - racconta e subito aggiunge un particolare straziante - ma almeno nove di quelli riconosciuti erano bambini». Più tardi altre fonti parlano di 21 morti. Per Abdel Mohsen Hussein, un sindaco locale intervistato da Al Arabya, «erano solo persone pacifiche in fuga, civili colpiti mentre scappavano dai bombardamenti a bordo delle loro macchine». Se limmagine di quei civili, vittime innocenti, turba e lascia sgomenti, sono le bombe sul valico di Masnada - al confine tra Libano e Siria - a destare la maggior preoccupazione. Quelle bombe e quelle sganciate per distruggere lultimo ponte sul fiume Litani, sei chilometri più a sud, diventano per molti il segnale di un imminente attacco in grande stile alla Siria, il nemico ripetutamente accusato da Israele di appoggiare e coprire i guerriglieri di Hezbollah. I timori di un imminente affondo su Damasco vengono rinfocolati anche da un articolo di Al Hayat. Secondo il quotidiano londinese in lingua araba il governo israeliano ha concesso solo 72 ore a Damasco per sospendere ogni appoggio al Partito di Dio e risparmiarsi una raffica di bombardamenti. Ma per ora lesercito israeliano smentisce ogni ipotesi descalation. «Non siamo una banda che spara a zero in tutte le direzioni - fanno sapere i suoi portavoce -, per il momento non è corretto trascinare la Siria in questa campagna, Damasco è certamente un fattore negativo ma non abbastanza da influenzare tutti questi eventi».
Non si fermano invece i bombardamenti sulla capitale libanese. Il palazzo di nove piani che ospitava il quartier generale hezbollah è stato colpito ieri per la terza volta e ridotto ad un lastricato informe di macerie. Un mare di rovine in cui scompare anche labitazione di Mohammed Nezzal, un alto dirigente di Hamas considerato il responsabile dellorganizzazione in Libano. Continua invece a sfuggire alla grande caccia - iniziata ieri con la distruzione della sua residenza e del suo quartier generale nel quartiere di Haret Hreik - il segretario generale di Hezbollah Hassan Nasrallah. «Quelluomo ormai può solo pregare Allah perché Israele lo liquiderà alla prima occasione», promette Zeev Boim, il ministro della Giustizia israeliano le cui parole riflettono spesso dichiarazioni non ufficiali del premier Ehud Olmert. Nellattesa del colpo grosso i cacciabombardieri distruggono il porto di Tripoli, abbattono i radar sulla costa, colpiscono le installazioni portuali e una caserma dellesercito libanese nella cittadina di Jounyeh, una quindicina di chilometri a nord della capitale.
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