Ora il MiArt scende nelle strade E Paladino scala la sua «Montagna»

Frizzantissima, nonostante il caldo quasi estivo, la settimana dell’arte milanese che gioca d’anticipo sull’imminente kermesse del Salone del Mobile. La «scusa» è quella del MiArt (aperta al pubblico fino a lunedì prossimo), una fiera che stenta a decollare all’interno dei propri padiglioni (troppo grigi e tristi quelli rimasti a Porta Teodorico) e allora si reinventa con una lunga lista di iniziative off, sul modello suggerito dal design e dalla moda. Per esempio domani, alle 21, inaugura alla NABA «100 di 50», festival estemporaneo di performance dagli anni ’60 a oggi, un’iniziativa che incuriosisce molto. Le gallerie fanno orario continuato insieme a diversi spazi pubblici: tra questi da segnalare il PAC di via Palestro che ospita la retrospettiva del videoartista americano Tony Oursler. Curiosa anche l’installazione site-specific del giovane Francesco Arena, «Com’è piccola Milano», in via Castaldi 33.
Al centro di questo lungo percorso - che include anche una fiera alternativa di arte accessibile, poco costosa e compatibile con la contrazione economica, nei saloni del Sole 24 Ore - c’è però la splendida antologica dedicata a Mimmo Paladino al Palazzo Reale. Il grande pittore e scultore campano, protagonista fin dai tempi della Transavanguardia, sta infatti vivendo negli ultimi anni un momento particolarmente felice. Le sue opere nuove sono al livello dei capolavori storici e il suo grado di notorietà è ulteriormente aumentato con la scenografia del tour recente di Dalla e De Gregori. Peraltro con la musica Paladino ha sempre avuto un rapporto preferenziale, avendo commissionato la colonna sonora del suo progetto Dormienti addirittura a Brian Eno.
Curata con eccellente filologia da Flavio Arensi, la mostra si incentra su un numero limitato di opere tutte di qualità eccellente, provenienti da musei stranieri e italiani, riallestite come se fossero nuove. Da un piccolo dipinto di epoca Transavanguardia (1979), Paladino parte ridisegnando un’intera stanza, quasi fosse la cover di se stesso. Colpiscono i monocromi rosso fuoco, la combinazione di pittura e scultura, il recupero dell’antica tradizione sannita inserita in un contesto di installazione contemporanea, di gusto poverista. Perché ha ragione Germano Celant nel suo testo in catalogo (Giunti editore): Paladino è l’anello di congiunzione tra l’Arte Povera (dunque gli anni ’60) e il ritorno alla pittura (esplosa negli ’80). Come fu per Burri e per Rauschenberg, condivide il destino di quei grandi artisti di porsi come cerniera tra diverse epoche della storia e dunque di estendere l’influenza più a lungo sulle generazioni successive.
La «chicca» di questa bellissima mostra è nella riproposizione della Montagna di sale posta all’esterno del Palazzo Reale.

Numerosi i milanesi e i turisti che si fanno fotografare accanto a questo geniale monumento dell’effimero. Segno che l’arte pubblica non deve essere, necessariamente, choccante e ostica, ma può aspirare alla bellezza e all’armonia.

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