Cultura e Spettacoli

Ora Michael Jackson è un mito "post mortem"

Elogio (poco musicale) dell’artista che provò a sovvertire le regole della natura. Tragicamente. Era diventato una statua di se stesso. E copriva i difetti con alibi banali. Il suo "Live in Bucarest" testimonierà per sempre l'amore dei fan

Ora Michael Jackson è un mito "post mortem"

Michael Jackson è morto il 25 giugno del 2009 ed era una persona fantastica. Io non festeggio il 25 aprile, non festeggio il 25 dicembre, ma da due anni celebro il lutto ogni 25 giugno e lo ricorderò anche domani, giorno del funerale), riguardando per la centesima volta Live in Bucarest. Era una persona fantastica, Michael: quando saltava fuori da una botola con un balzo, materializzandosi sul palco grazie a un meccanismo a molla e restando immobile, completamente immobile, come una iperrealistica statua di se stesso.

Dopo il primo scatto della testa, nell’istante in cui, trovandoti nel pubblico, là sotto, realizzi che non solo sei davanti a Michael Jackson ma lui è vivo, si muove, eppur si muove, in quell’istante molti fan isterici si strappano i capelli e urlano e piangono e cominciano a svenire uno dopo l’altro per l’emozione, e anch’io, se ci penso, mi sarei strappato i capelli e avrei urlato e pianto e sarei svenuto per l’emozione.

È vero che Michael Jackson, se lo sentivi parlare, sembrava un imbecille: passava da una religione all’altra e a me già ne basta una per togliermi la stima di chiunque, ultimamente era perfino diventato ebreo, organizzava campagne per salvare il pianeta terra, era pacifista, e un ambientalista dei più sciocchi, ma io ero affascinato dagli aspetti interessanti, eccezionali della sua vita.

Come il fatto che fosse morto per un’overdose di Propofol, che si fosse depigmentato per diventare più bianco dei bianchi, che uscisse nascondendosi il volto dietro mascherine e occhiali neri e si coprisse con ombrelli per proteggersi dalla luce solare, che avesse trasformato la sua casa in un gigantesco Luna Park, che non si riuscisse a dire se fosse più uomo o più donna ma quasi un superamento dell’idea stessa di sessualità, che non si riuscisse a dire se fosse più adulto o bambino ma quasi un superamento stesso dell’idea di adulto e bambino, che si fosse sottoposto a decine di interventi di chirurgia estetica fino a consumarsi del tutto la cartilagine del naso, tutto questo per diventare la sua idea di Michael Jackson.

Quando è morto Michael Jackson aveva nello stomaco solo un cocktail di farmaci, così ha detto il referto dell’autopsia, e su questo particolare hanno ricamato sfilze di articoli i moralisti dei giornali per sostenere che era un fuori di testa. Aveva le sopracciglia tatuate, il trucco permanente, e sulla testa calva indossava una parrucca, e sotto la parrucca, probabilmente all’inizio della calvizie, si era tatuato perfino il cuoio capelluto, ma anche questo non aveva niente a che vedere con la banalità dei lifting delle donne di oggi, niente a che vedere con i patetici espedienti per standardizzarsi le facce per camuffare la vecchiaia e la morte sotto una pelle di plastica.

Così, per la stessa ragione, mi ha sempre infastidito la tesi secondo cui si sarebbe sottoposto al trattamento di depigmentazione solo perché aveva la vitiligine, tanto per dargli un alibi mediocre. Per me faceva parte del suo processo di trasformazione da comune bambino negro dei Jackson Five nell’utopia di Michael Jackson. Michael Jackson era fantastico perché rappresentava un tentativo di incarnazione dell’idea di essere davvero Michael Jackson, e al contempo la sua irrealizzabilità. Michael Jackson era fantastico perché rappresentava l’impossibilità di essere Michael Jackson.
Quando, all’inizio dei concerti, diventava per due minuti la statua vivente di se stesso, concretizzava una metafisica astratta nella fisica tangibile, tridimensionale, illusionistica del proprio corpo umano.

Perché purtroppo anche Michael Jackson era solo un uomo, come chiunque, e divenne presto una figura profondamente tragica, che tentava di sovvertire le spietate regole della natura. Come quando si inventò l’anti-gravity trick, un sofisticato meccanismo all’interno di speciali scarpe da usare durante il balletto di Smooth Criminal, per poter restare sospeso lì, dal vivo.
La parte più bella di Live in Bucarest è il momento in cui sul palco fanno salire una ragazza del pubblico, alla quale è concesso di abbracciare Michael. La parte più crudele di Live in Bucarest è il momento in cui la ragazza deve staccarsi da Michael, il tempo è scaduto, il sogno è finito, e devono portarla via i body-guard perché la ragazza, giustamente, non vuole più staccarsi, e piange disperata tendendo il braccio a Michael come un’ebrea separata dalla famiglia per essere caricata su un treno e deportata in un campo di concentramento.

È davvero un gioco sadico, a pensarci, prendere una ragazza, farle abbracciare Michael, e riportarla giù. Ogni volta che riguardo Live in Bucarest penso che anche io mi sarei comportato come quella ragazza e avrebbero dovuto portarmi via di peso, deve essere stato terribile poter toccare Michael e essere strappati via vivi da Michael senza anestesia e tornare per sempre tra gli altri, nel campo di concentramento della vita senza Michael.

È terribile perché un vero Michael Jackson non è mai esistito, come non può esistere la felicità. Come il bicchiere, l’uomo, la gallina dell’artista Gino De Dominicis, che espose un bambino Down alla Biennale di Venezia del 1972. Un bicchiere, un uomo, una gallina, scrisse Gino De Dominicis, non sono veramente un bicchiere, un uomo, una gallina, ma solo la verifica della possibilità di esistenza di un bicchiere, di un uomo, di una gallina, perché per esistere veramente le cose dovrebbero essere eterne, immortali. Non aveva torto, Gino De Dominicis, perché tutto ciò che finisce in assoluto non esiste, e vale tanto per le trilobiti di cinquecento milioni di anni fa che per Michael Jackson o chiunque di noi.

Così se io dovessi pensare alla possibilità di essere felice penso che avrei voluto essere la ragazza che abbracciava Michael Jackson e non staccarmi più da lui, oppure, se non fossi stato Massimiliano Parente, avrei voluto essere Michael Jackson.

Ma avrei voluto essere davvero Michael Jackson, perché Michael Jackson è solo stato un tentativo della possibilità di esistenza di Michael Jackson, il tentativo fantastico di non essere un bicchiere, un uomo, una gallina, ma di essere davvero Michael Jackson, un uomo fantastico.

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