Si chiama stile, si chiama pubblicità, si chiama anche, con una parola più di altisonante, endorsement. In ogni caso, fa vendere. Nel mondo della moda, dove i confini fra marketing, media, celebrità e immagine sono da sempre fluttuanti, i blogger hanno conquistato il ruolo di tastemaker, cioè «creano il gusto»: influenzano il loro pubblico a scegliere un vestito, un paio di occhiali da sole, una borsetta, un foulard piuttosto che un altro. I blogger trasformano i lettori in consumatori: il sogno di qualunque azienda.
Per esempio, il Financial Times racconta che una catena di abbigliamento, Express, questanno ha spedito lo stesso abitino a righe a una serie di starlette, che lo hanno indossato tutte a stretto giro. Cinque di loro sono state fotografate, e la loro immagine è finita su alcuni blog specializzati come SheFinds.com, Celebuzz.com, Intheircloset.com e il risultato è che il vestito è andato esaurito in pochi giorni in tutti i seicento negozi del marchio e on line, diecimila capi smerciati in un amen. E questo grazie al fatto che quei siti avessero selezionato, fra tutte le foto possibili di vestiti, proprio quelle.
Ovviamente non succede per tutti i blogger, ma soltanto per coloro che hanno guadagnato una certa fama - e quindi hanno migliaia di visitatori al giorno, quindi anche altrettanti potenziali clienti per i vari marchi. Ma il loro endorsement per una griffe o unaltra non è questione da poco, tanto che il Financial Times ne ha fatto uninchiesta. Perché la domanda è sempre la solita: chi influenza chi?, anzi, più a ritroso: chi controlla i controllori? I blogger hanno successo perché non sarebbero «interessati»: si presentano come dei semplici patiti di moda, che ne parlano per piacere, non per profitto. Sarebbero più «affidabili» di critici di moda, giornalisti e perfino delle celebrità stesse, perché passano per indipendenti. Gli antesignani del genere, come Bryanboy, The Sartorialist e la giovanissima Tavi sono ormai delle istituzioni: le griffe li invitano alle sfilate, seduti accanto alla Wintour. Ma alcuni di loro, più che dalla libertà di critica, sembrano ispirati da spirito commerciale: per esempio, mentre recensiscono lo stile di una star, indicano anche dove comprare gli abiti e gli accessori. Il sito Redcarpet-fashionawards.com attrae 50-60mila visitatori al giorno, con punte di 120mila nella notte degli Oscar; WhoWhatWear.com registra 4 milioni di visitatori al mese. Spiega la fondatrice: «Indirizziamo milioni di dollari di guadagni verso i rivenditori». Succede tutte le settimane - dice - che i prodotti di cui si parla sul blog vadano esauriti nei negozi. Allinizio dellanno, Sarah Jessica Parker, Katy Perry e Cheryl Cole sono state immortalate con lo stesso marchio di jeans: le immagini sono finite su tutti i blog di moda vip, poi sulle grandi riviste. Quel marchio di jeans ancora ringrazia.
Il risultato è scontato: i marchi se ne sono accorti e cercano di sfruttare il potere dei blogger nellinfluenzare le vendite. Fanno pubblicità sui loro siti, e questo è laspetto più eclatante. Ma per citare il nome del blog Intheircloset: se «nel loro armadio» (delle star) cè quello che i blogger raccontano, che cosa finisce nellarmadio dei blogger? Il web, con la sua allure di indipendenza, fa vendere. Succede anche coi social network: basta un tweet in cui una star scrive che si è alzata e beve una tazza di un certo caffè, per fare pubblicità al prodotto.
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