Milano - Fermi tutti, il nuovo Samuele Bersani merita attenzione. Pubblica, lui che può permettersi delle pause, un cd dopo tre anni e lo intitola Manifesto abusivo perché è proprio così: un manifesto di pensieri espressi in modo ormai abusivo, ossia pacatamente e con quella spaesata sagacia che lo ha trasformato in uno dei pochi artisti ancora capaci di scrivere un bel testo. «Più che la nostalgia, in questo cd c’e un certo sapore del passato. Ma io comunque preferisco il presente», spiega lui a pranzo in un bel ristorante del centro. D’altronde la nostalgia non è nel suo canzoniere. Da quando, era il 1992, si è presentato al grande mercato con Chicco e spillo, il suo fraseggiare impertinente e autocritico è diventato un marchio riconoscibile all’istante. E così basta l’inizio di Un periodo pieno di sorprese, prima canzone delle dodici di Manifesto abusivo, per capire che Bersani stavolta è sceso ancora più in profondità. Volendo, anche i semplici titoli delle canzoni, se affiancati, potrebbero diventare (quasi) un endecasillabo di presentazione: Pesce d’aprile/ Lato proibito/ A Bologna/ Anche Robinson Crusoe/ Ferragosto/ Manifesto abusivo/ Valzer nello spazio/ Ragno/ Fuori dal tuo riparo/ Bombarolo. L’ultimo brano è 16:9 ed è bello sapere come è nato: «Ho seguito una ragazza per qualche giorno. Era una “riparatrice di unghie”.
Per carità, niente di malizioso, mi è venuto così: mi ha incuriosito la sua aria sognante e la costanza con cui attaccava i bigliettini sulle bacheche e sui muri universitari». Ora che ha qualche capello bianco, Samuele Bersani sembra proprio uscire da una pagina di Svevo o persino di Guareschi: meditabondo eppure puntuto, senz’altro proveniente da un altro tempo. Perciò lui, che è di sinistra, non voterà la sinistra che tenta di rinascere il 25 ottobre alle primarie del Pd: «Non vado alle urne, non sono contiguo. Qualcuno pensa che voterei per Fini, ma non voto neanche lui. Qualche anno fa ho scritto Lo scrutatore non votante, ecco, adesso sono diventato un cantautore non votante». Già, ma i cantautori non sono troppo spenti da un po’ di tempo a questa parte? «Sembriamo i testimoni di Geova che bussano inutilmente alle porte. Ma mi sento un cantautore a se stante perché continuo a credere che, se la musica non regge, la canzone diventa un buco nero che si ingoia tutto il resto». In questo album non succede quasi mai perché le parole, persino quando sono di De André come in Bombarolo suonata con Stefano Bollani al piano, hanno sempre un’ossatura musicale agile ed equilibrata come in Pesce d’aprile o in Ragno e ben s’adattano anche al peggiore dei sentimenti, la disillusione. A Bologna, ovviamente.
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