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Ora Piazza Affari vale meno di un quarto del Pil dell’Italia

È stata anche la Borsa a spingere l’Italia verso la recessione, approdo pressochè inevitabile di un anno terribile in cui la crisi dei mercati finanziari ha finito per saldarsi con quella dell’economia reale. Il bilancio 2008 di Piazza Affari è sotto questo profilo di una chiarezza esemplare, quasi brutale: dietro l’avvitarsi della capitalizzazione, c’è la polverizzazione del valore di molti, troppi titoli, per la disperazione di chi su quei titoli aveva puntato; il calo degli scambi è lo specchio della paura, il riflesso della sfiducia cresciuta come una marea con il passare dei mesi; nel saldo negativo tra le società che hanno dato l’addio al listino e le new entry, si conferma il nanismo del nostro mercato, un male incurabile almeno fino a quando la situazione non sarà migliorata.
Le cifre diffuse ieri da Borsa Italiana dicono soprattutto una cosa: dalla tempesta perfetta non si è salvato quasi nessuno. E non potrebbe essere altrimenti, se solo si pensa che sulla ricchezza borsistica è calata una vera e propria scure che ha finito per dimezzarla, trasformando i 731 miliardi di euro del 2007 nei 372 di quest’anno a causa appunto di una perdita dell’indice Mib attorno al 50%. Un mercato leggero e fragile, volatile (l’indicatore di volatilità è balzato al 30,5% contro il 12,5% dell’anno prima) e insicuro, il cui peso rispetto al Prodotto interno lordo non raggiunge neppure il 24% (23,5%). Meno di un quarto, insomma, quando solo 12 mesi fa il rapporto capitalizzazione-Pil sfiorava il 50% (47,8%).
È un’Italia impoverita anche nel recinto di Piazza Affari, da cui in molti continuano a scappare per cercare rifugio nella trincea poco remunerativa dei Bot. Un Bot vale meno del 2%, ma Cell Therapeutics, la pecora nera del listino, vale il 99,4% in meno rispetto alla fine di dicembre 2007, mentre la perdita di Euthelia, secondo peggior titolo, è stata superiore al 91%. La crisi del settore immobiliare ha fatto vittime illustri come Risanamento (-86,8%), Aedes (-86,6%) e Pirelli Re (-83,5%). Orribile il 2008 anche per Bialetti, la società dell’Omino con i baffi famosa per la Moka, che ha ceduto l’83,2%, seguita da un gruppo di titoli della galassia Agnelli: Fiat priv. (-83,8%), Ifi priv. (-79,6%) e Fiat risp. (-79,1%). Male anche Camfin (-78,6%), la holding che fa capo a Marco Tronchetti Provera. La ridotta quotazione di gran parte dei titoli ha avuto tra l’altro ripercussioni sul controvalore degli scambi, sceso da 1.572 a 1.028 miliardi (-34,6%), con una media giornaliera passata da 6,2 a 4,1 miliardi. In discesa anche i contratti scambiati (-4,6%), pari a 69,2 milioni.
Uno dei difetti strutturali del mercato azionario italiano, ossia la ridotta dimensione del listino, è inoltre andato accentuandosi: sono appena 300 le società quotate, sette in meno rispetto al 2007. Naturalmente, il pessimo momento ha scoraggiato i debutti: appena sette le matricole, per lo più di piccole e medie dimensioni e quindi in grado di garantire una raccolta modesta (143 milioni). Nel complesso, Piazza Affari ha rastrellato 7,5 miliardi, assicurati in prevalenza dagli aumenti di capitale; quello del Montepaschi (4,1 miliardi) si colloca al terzo posto nella classifica delle maggiori operazioni di sempre. Ventuno invece le Offerte pubbliche di acquisto, con cui sono stati restituiti 3,8 miliardi agli azionisti.


Per chiudere, una nota di speranza, perché anche in mezzo alla bufera c’è chi è rimasto a galla: l’oro spetta a Bastogi (+47,9%), l’argento a Nova Re (+41,7%) e il bronzo a Landi Renzo (+38,9%).

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