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Ora Repubblica si ricrede Lo spionaggio telefonico non porta mai a nulla

Il quotidiano elenca tutte le inchieste basate sullo spionaggio telefonico. Il risultato? Nessuna è mai approdata a un risultato concreto.

Ora Repubblica si ricrede 
Lo spionaggio telefonico 
non porta mai a nulla

È la Grande guerra del Cavaliere. Non una ma due volte maiuscola. A raccontarla è Repubblica: Berlusconi è disperatamente impegnato a spegnere i telefoni delle intercettazioni che lo inchiodano alle sue responsabilità. Peccato che il quotidiano non si accorga che molte di quelle accuse sono finite nel nulla. È un autogol, ma non importa. Per il giornale di Ezio Mauro è dal 2007 che Berlusconi ha l’acqua alla gola per via delle intercettazioni ed è dal 2007 che le sta provando tutte per far approvare la legge «bavaglio». Le escort, naturalmente, con il versante milanese, e quello barese di Gianpi Tarantini e le sue trenta ragazze; poi le pressioni sul membro dell’Agcom Giancarlo Innocenzi, il caso Saccà, con le raccomandazioni sul filo del telefono per un paio di parti in una fiction, i dialoghi dei «furbetti del quartierino». Senza contare la P3, la P4 e altri verminai in ordine sparso. Massimo Giannini mette tutto sulla pira e compila addirittura due sterminate pagine per descrivere il grande tentativo, peraltro sin qui sempre frustrato, del premier per cancellare con una norma più restrittiva tutti i suoi scandali. È quel che pensa una parte dell’opinione pubblica. C’è però un punto debole, non da poco: molti di questi faldoni, scortati dalla claque assordante dei media, sono spariti senza lasciare traccia. Archiviazione e fine della corsa. Molto, moltissimo fumo. Poco, pochissimo arrosto.

Il caso di Bari è senz’altro il più clamoroso. I primi verbali di Tarantini vengono pubblicati il 9 ottobre 2009, due anni fa. Tutti pensano che quell’inchiesta sarà la tomba per il Cavaliere. E invece il presidente del Consiglio esce senza ammaccature; ci pensa Napoli, con altre intercettazioni, a riaprire la vicenda che poi emigra e si sdoppia con la più paradossale delle situazioni: a Bari s’indaga - con molti dubbi - sul Cavaliere, possibile autore di macchinazioni per far tacere Tarantini, a Roma il premier sarebbe vittima di un eventuale complotto. Insomma, dal punto di vista penale l’affaire Tarantini, che pure ha nuociuto molto a Berlusconi sul piano dell’immagine e, probabilmente anche su quello dei consensi, è al momento prossimo allo zero.

E in niente si è risolta anche l’indagine per piazzare due o tre attricette alla corte dell’ex direttore generale della Rai Agostino Saccà. Archiviata pure quella il 17 aprile 2009. Repubblica lo ricorda, ma aggiunge che Berlusconi nel 2008, «alla vigilia del voto anticipato, ancora non lo sa. Per questo ha già deciso: il giro di vite alle intercettazioni sarà nel suo programma di governo». Dunque, il premier passerebbe il tempo a varare leggi, mai approvate, che servirebbero a far sparire telefonate compromettenti. Ma così compromettenti da essere finite in soffitta.

È uno schema che non vale solo per il Cavaliere. Basta pensare ai nastri del caso Bnl-Unipol, con il celebre scambio di battute fra Piero Fassino e Giovanni Consorte: «Abbiamo una banca». Piero Fassino e Massimo D’Alema, protagonisti di quelle conversazioni, non sono mai stati indagati. E nemmeno Berlusconi è stato coinvolto, anche se Stefano Ricucci nell’ennesima intercettazione afferma di aver ricevuto «un via libera da Berlusconi» per la scalata alla Rcs. Sarà, ma non c’è traccia di approfondimenti da parte dei pm di Milano che, pure, sul Cavaliere non si sono fatti mancare nulla.

È strano, tutte queste telefonate avranno pure provocato un finimondo, ma nella sostanza formano un girotondo penalmente irrilevante. Certo, l’inchiesta partita a Trani il 12 marzo 2010 è ancora in corso: è passato un anno e mezzo, l’indagine è passata da Trani a Roma e dalle carte di credito a Berlusconi e Minzolini, i dialoghi bollenti per far chiudere Annozero hanno fatto il giro d’Italia e non solo quello, ma ancora non s’è capito bene come andrà a finire.

Si può passare alla P3, ma anche qui il Cavaliere non è indagato, alla P4, idem come sopra, e all’inchiesta sui Grandi eventi, ma anche quella non l’ha toccato, come le precedenti. Certo, quando lo scandalo esplode, a febbraio 2010, «i giornali riferiscono di conversazioni intercettate e di incontri segreti a Palazzo Chigi», con Berlusconi e Letta. Sarà, pure quello è un terremoto annunciato che però non arriva. E allora risulta arduo seguire Giannini quando scrive che la legge all’esame del Parlamento «è la pretesa di impunità spacciata per diritto alla privacy». Giannini spiega che questo «non è un teorema giornalistico»; no, «sono i nudi fatti». Ma i nudi fatti dicono il contrario.

La legge non c’è, o non c’è ancora, le accuse evaporano da anni l’una sull’altra.

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