P rimavera 2008, la Festa di Roma pareva chiudere; poi si gallicizzava in Festival di Roma e non chiudeva, ma - si diceva - avrebbe fatto meno concorrenza alla Mostra di Venezia. Invece ne farà di più: oltre al nome, anche la sua struttura è mutata, infatti, diventando più simile a quella veneziana. Lattrito interfestivaliero crescerà fra Roma e Venezia, come fra Roma e Torino.
Questo è anche l'anno in cui «Première» sitalianizza in «Anteprima», restando rassegna-fulcro. Piera Detassis, che la dirige, è ora anche direttore del Festival. Ma anche lei - che con «Première» aveva portato Hollywood (The Departed di Martin Scorsese) e off Hollywood (Into the Wild di Sean Penn) sul Tevere - con «Anteprima» saccontenta ora di portarci... Cinecittà. Schiera infatti tre film italiani dei ventuno (!) ammessi al Festival: Galantuomini di Edoardo Winspeare, Parlami di me di Brando De Sica e Luomo che ama di Maria Sole Tognazzi. I cognomi dicono quanto il nostro cinema sia dinastico... Difficile eludere il pensiero che il meglio di certe famiglie sia, come le patate, sottoterra.
Tre film sono troppi, ma sono sempre meno dei quattro - con tre rivelatisi superflui - in concorso all'ultima Mostra di Venezia. Visto ciò che offrono francesi e tedeschi, spagnoli e portoghesi, serbi e russi, però lautarchia quasi si giustifica. E poi i film americani da grosso pubblico in uscita (a fine ottobre comincia l'alta stagione) non si sono voluti/potuti avere.
L'assenza della Hollywood che conta - non vi appartiene Pride and Glory di Gavin O'Connor, col declinante Colin Farrell e col mai impostosi Edward Norton - riconduce in apparenza il «primo» Festival di Roma all'esigua dimensione dell'ultima Mostra di Venezia. Avremo quindi unaltra manifestazione a corto di glamour. Ma ormai lItalia ha guai peggiori.
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