RomaÈ atterrato in Sardegna con lidea di concedersi cinque, forse sei giorni di riposo. Per recuperare completamente dopo lintervento al polso ma anche per cercare di tirare finalmente le somme della querelle con Fini e delle beghe interne al Pdl. Appena Berlusconi mette piede a Villa Certosa, invece, è la conferenza stampa di Tremonti a fargli andare di traverso il pranzo. Già, perché dopo due anni in cui il Cavaliere è costretto a spargere ottimismo spiegando che la crisi è ormai alle spalle il ministro dellEconomia annuncia candidamente che «da oggi il governo lancia la politica dello sviluppo ed entra nella seconda fase». Unuscita tuttaltro che concordata, al punto che persino Gianni Letta salta sulla sedia. Tremonti, infatti, pronuncia la parolina magica - sviluppo - dopo che per mesi è andato predicando cautela, invitando il premier a non sbilanciarsi sul fronte dei conti e delle riforme perché la crisi è ancora in corso e ci sarà da tirare la cinghia ancora. Stesse identiche argomentazioni usate nelle ultime ore con il pattuglione di ministri infuriato per i tagli imposti da via XX Settembre. Ci sta, dunque, che Berlusconi si senta in qualche modo scavalcato dal suo ministro dellEconomia. Con cui, è noto, negli ultimi tempi i rapporti non sono stati propriamente idilliaci. Perché, spiega un ministro, Tremonti «ha parlato da presidente del Consiglio in pectore».
E qui sta il punto, visto che il Cavaliere sa bene che nelle sue conversazioni private il titolare dellEconomia continua a ripetere che lo stallo nella maggioranza non può reggere e che si dovrebbe andare alle urne. Il timore del premier, insomma, è che Tremonti stia lavorando per far implodere il governo. Timore che manifesta senza troppi giri di parole nelle sue telefonate private: sui tagli doveva essere chiaro fin dallinizio, invece ci ha girato intorno fino allultimo giorno per mettermi davanti al fatto compiuto. Tagli, spiegano in diversi ministeri, profondi al punto che molti servizi rischiano di essere soppressi. Insomma, secondo il premier un comportamento sleale. Tanto che prima della riunione a Palazzo Chigi chiama i quattro ministri più agguerriti e li invita a non aprire fronti: non diamo alibi a Giulio. Che, ragiona, punta al voto anticipato di sponda con la Lega (i tagli non a caso non toccano i ministri del Carroccio né il federalismo) o magari a un governo tecnico.
Un fronte su cui peraltro lavora anche Fini, come dimostra lo scontro istituzionale con Schifani sulla legge elettorale. Se il presidente della Camera arriva a replicare in maniera tanto dura alla seconda carica dello Stato (parlando di «questione politica» e dicendo che «risulta difficile pensare che il Senato manderà davvero avanti la riforma della legge elettorale») è solo perché sa bene che se lesame partisse a Montecitorio sarebbe quantomeno possibile trovare unintesa su una riforma che cancelli il premio di maggioranza (e metta allangolo Berlusconi). Un fronte che (almeno nella prima fase di discussione) potrebbe raccogliere Fli, Udc, Api, Pd e anche Idv. Mettendo di fatto le basi di un governo-ponte qualora si arrivasse davvero alla crisi di governo. Ipotesi ancora in piedi, visto che non ha torto il pdl Stracquadanio quando dice che «le elezioni anticipate hanno le loro stagioni» e per vedere se la maggioranza tiene davvero bisognerà aspettare gennaio e febbraio. Una partita così delicata che spinge Fini a quello che è obiettivamente uno scivolone, visto che non sè mai visto un presidente della Camera insinuare che il presidente del Senato non voglia mandare avanti la riforma. Tanto che per la Santanchè «con luscita di oggi Fini ha finalmente deciso di sciogliere il dubbio». Nel senso che «ha chiaramente parlato da capo di un partito e non da presidente della Camera».
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