Ora la sinistra si pente: tolleranza zero contro gli ultrà violenti

Dopo le critiche alle norme del governo Berlusconi, l’Unione corregge il tiro. Il presidente del Consiglio Prodi: «Basta protezioni». Il ministro dell'Interno Amato: i poliziotti non dovranno rischiare più. Dopo la guerriglia durante il derby di Catania, calcio verso la linea dura: due giornate di stop e poi forse solo partite a porte chiuse. Le indagini: 9 minorenni fra i 22 arrestati, stadio sotto sequestro

Roma - Il calcio si ferma, dopo il sangue allo stadio di Catania. E il Palazzo della politica cerca soluzioni contro la violenza che stravolge lo sport. Il dito è puntato contro gli ultrà che, dice il premier Romano Prodi, «non dovranno più avere protezione». E contro le stesse società, che devono «responsabilizzarsi» sui problemi della sicurezza. Si guarda al modello inglese, a quel «Football Disorder Act» che 7 anni fa ha stroncato la furia degli hooligans.
Il presidente del Consiglio annuncia un provvedimento «robusto e radicale», una svolta. Decreto o riforma del settore, ancora non si sa. Domani ci sarà un vertice a palazzo Chigi con il ministro dell’Interno, Giuliano Amato, e la titolare dello Sport, Giovanna Melandri, per concordare un pacchetto di misure che dimostri la «posizione ferma» del governo, come dice Prodi. C’è rabbia nelle parole di Amato, che pensa alla famiglia dell’ispettore Filippo Raciti, ucciso da delinquenti travestiti da tifosi. C’è rabbia anche per i pericoli cui vanno incontro le forze dell’ordine negli stadi. «Hanno fatto bene a fermare il campionato - dice il titolare del Viminale - e quando riprende i miei poliziotti non devono correre i rischi che hanno corso finora. Questa violenza è inammissibile, si cura con cure sociali, con l’educazione, ma anche con la punizione».
La Melandri assicura che «il calcio non ripartirà finchè non avremo individuato le strategie giuste per uscire da questo dramma». Per il ministro ci vogliono leggi più dure, quelle degli ultimi anni «non sono sufficienti»: il decreto Pisanu, in particolare, al di là delle buone intenzioni, «si riferiva ai dispositivi all’interno degli stadi che sono un onere per gli enti locali», ma bisogna assicurare la sicurezza anche fuori, stabilire rapporti tra stadi e club sportivi e ristrutturare gli impianti.
La tolleranza zero, invocata ora da destra e sinistra, è quella che ha ispirato appunto la legge anti-violenza varata nel 2005 dal governo Berlusconi. Giuseppe Pisanu (Fi) era al posto di Amato e ora accusa: le sue misure non sono state mai attuate completamente, anche per colpa di «una lobby politica che giustifica i violenti», un «intreccio perverso tra tifosi, politici e dirigenti delle società sportive». Oggi il governo invoca la linea dura, ma l’ex ministro ricorda: «Fino a ieri certi politici dicevano che le mie misure erano troppo severe e per questo diminuiva l’affluenza negli stadi. Che senso ha inventare nuove misure se non si applicano quelle esistenti?». I tornelli per controllare i biglietti uninominali, ad esempio, e l’impiego massiccio degli steward, per vigilare sull’osservanza delle regole. Senza le «aree di prefiltraggio», dice il senatore azzurro, entrano negli stadi «gruppi altamente politicizzati», anche armati, «terroristi da stadio» che incitano alla violenza contro la polizia. E poi c’è il problema della deterrenza delle sanzioni: «È inutile che le forze dell’ordine facciano sacrifici per individuare i responsabili, arrestarli e poi il giorno dopo se li trovano al bar che sorridono sarcasticamente».
Per il coordinatore di Fi, Sandro Bondi, lo stop alle partite «non serve a nulla» e le società sportive dovrebbero occuparsi direttamente della sicurezza negli stadi. Lo dicono in molti, anche il leader dell’Udc Pierferdinando Casini, che invoca «tolleranza zero». Il presidente di An Gianfranco Fini è d’accordo con la decisione della Federcalcio, ma raccomanda di andare alle radici del malessere giovanile. «Speriamo non finisca come per Calciopoli», commenta il leghista Roberto Calderoli. E Ignazio La Russa di An dice che se serve bisogna anche «intaccare il business». Un affare, quello dell’industria del calcio, stimato in 4-6 miliardi di euro.
Nell’Unione, il leader Ds Piero Fassino dice che nulla può legittimare questa violenza, il ministro Antonio di Pietro (Idv) vuole chiudere per sempre gli stadi e anche il segretario del Prc, Franco Giordano, invoca misure repressive oltre che preventive. Ma c’è anche chi dice, come il sottosegretario Verde all’Economia Paolo Cento, che l’obbligo ai tifosi violenti di presentarsi al commissariato durante le partite, emanato dal questore e non dal magistrato, potrebbe violare la Costituzione.

La sua proposta di legge contro la violenza negli stadi s’ispira al modello inglese che, tra l’altro, attribuisce alle società, proprietarie degli stadi, l’onere di garantire la sicurezza e stabilisce una collaborazione tra club e tifosi per isolare i tifosi violenti. Cita proprio Cento Francesco Storace (An), criticando «l’ipocrisia della sinistra» e invocando un campionato a stadi vuoti.

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