Stile

«Ora sono in tante a voler scendere in campo»

È stata l'ambassador della Danone Nations Cup riservato quest'anno solo alle under 12

Sergio Arcobelli

«Nella vita ci sono situazioni che spesso ti portano a voler abbandonare un sogno, ma basta guardare una bimba sorridere per riguadagnare un poco di speranza». È quello che avrà pensato Nicole Peressotti, calciatrice della Triestina calcio, quando è stata scelta come ambassador della Danone Nations Cup. «Vengo da 4 anni di infortuni e avevo deciso di smettere di giocare racconta Nicole -, ma quando alle Finali Nazionali del torneo ho visto loro così sorridenti ed emozionate, mi sono detta: Sai che c'è? Torno a giocare». Loro sono le bimbe di tutta Italia giunte a Coverciano lo scorso 16 giugno per giocarsi la Finale Nazionale; in palio, l'accesso alla Finale Mondiale della Danone Nations Cup, che quest'anno si è disputata a Barcellona, scelta non casuale visto che parliamo della città nella quale Danone è nata 100 anni fa. Grazie alla rinnovata partnership tra la Federazione Italiana Giuoco Calcio e Danone S.p.A., due squadre femminili (Inter e Napoli) hanno rappresentato l'Italia alla Finale Mondiale, con risultati eccezionali. Merito anche di Nicole. Ma lei, come sul campo da calcio, non si scompone mai: «L'esperienza di madrina è stata bellissima, un'emozione incredibile. Tu parti con l'idea di voler insegnare qualcosa di tuo a loro, ed invece torni a casa che hai imparato tu qualcosa da loro. E poi, se a 21 anni sono tornata a giocare, è merito delle ragazze». C'è di più: «Devo ringraziare Danone per questa collaborazione, poiché rispecchia la mia filosofia di vita e il mio modo di vedere il calcio. È vero che adesso il calcio femminile si sta sviluppando tanto grazie anche all'ingresso delle società professionistiche, ma esperienze come la Danone Nations Cup sono importanti per non perdere di vista certi valori». A proposito: quanto è cambiato il calcio femminile? «C'è un abisso rispetto a prima. Ora ogni squadra può contare su Under 15, 17 e 19, oltre alla prima squadra. Il merito è della FIGC, che con i centri federali ha fatto sì che molte ragazze abbiano una rapidità e una visione di gioco che noi alla stessa età non avevamo. Al torneo ho persino visto piangere il nonno di una ragazzina nel vederla giocare a Coverciano. Ho anche incontrato mamme che mi hanno detto: Ah, se potessi tornare indietro non vieterei a mia figlia di giocare a calcio. Insomma, qualcosa sta davvero cambiando. È un processo lento. Ma iniziative come queste aiutano a far cambiare la concezione di molte famiglie.

Perché se una ragazza gioca a calcio non vuol dire che sia strana». È chiaro, no?

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