«Ora spero di firmare la pace con Israele»

Gian Micalessin

Spera, un giorno, di arrivare alla Casa Bianca per firmare un trattato di pace con Israele. Dice di non aver mai mandato un solo attentatore suicida a far strage d’israeliani. Giura che se uno dei suo figli gli confessasse di sognare il martirio suicida, lo dissuaderebbe senza nemmeno pensarci. L’Ismail Hanyeh comparso sugli schermi della Cbs è un leader da sogno. Un capo di Hamas perfettamente in sintonia con quanto America ed Europa vorrebbero da lui. Magie della televisione. Prodigi dello zelo e dell’attenzione con cui il 43enne Hanyeh interpreta la propria parte di premier moderato, accattivante e presentabile.
Impeccabile nelle interviste televisiva e nel ruolo di premier virtuale, Hanye arranca nella più concreta missione di primo ministro incaricato della formazione del primo governo di Hamas. Dopo due settimane di difficili e inutili consultazioni deve ammettere di non esser riuscito a convincere né Fatah, né qualsiasi altro minuscolo partito della galassia palestinese a seguirlo nell’avventura di governo. Dopo il no finale di Fatah che insiste sull’impossibilità di un’alleanza con chi non riconosce i trattati già approvati dall’Anp, è arrivato anche il benservito dell’Fplp. Dopo il raid di Gerico e la caduta in mano israeliana del suo capo Ahmed Saadat, che Hamas prometteva di liberare, l’Fplp non sembra più motivato a solidarizzare con la formazione fondamentalista. Lunedì dunque Mahmoud Abbas riceverà una lista di ministri formata esclusivamente da esponenti dell’organizzazione e da «tecnici» vicini al gruppo fondamentalista. Oggi l’elenco subirà gli ultimi ritocchi, ma non verrà divulgato prima della consegna al presidente.
Le prime indiscrezioni assegnano un terzo dei ministeri, tutti cruciali, ai dirigenti di Hamas. Tra questi si segnalano gli Esteri a Mahmoud al-Zahar, il rivale di Hanyeh a Gaza, e gli Interni a Saeed Seyam. La strada obbligata del monocolore, anche se infarcito di tecnici e indipendenti, rischia di portare all’immediato isolamento il nuovo governo, di privare l’Autorità Palestinese di qualsiasi finanziamento e di legittimare il blocco economico imposto a Gaza dagli israeliani con la chiusura del valico commerciale di Karni. Quel blocco esaurisce le riserve alimentari, costringe i palestinesi a lunghe code e minaccia di erodere velocemente il credito di sostegno e fiducia concesso ai dirigenti fondamentalisti.
«Ho le mani pulite, non ho mai mandato nessuno a compiere una missione suicida», ha detto il 43enne premier designato di Hamas al giornalista della Cbs che lo intervistava. Più tardi la dichiarazione è stata indirettamente confermata anche dai servizi di sicurezza israeliani. Pur ammettendo di non aver mai trovato prove su un suo eventuale ruolo di mandante o organizzatore, in attentati o azioni armate, i servizi sicurezza hanno comunque ricordato che Hanyeh diventerà l’obbiettivo numero uno se Hamas riprenderà le operazioni suicide. Il futuro premier ha invece ammesso che se uno dei suoi figli gli confessasse di esser pronto ad un attacco suicida non esiterebbe a fermarlo. L’eventuale rinuncia alla violenza e il riconoscimento d’Israele restano però ancora lontani. «Solo quando Israele riconoscerà i confini di Gaza, della Cisgiordania e quelli di Gerusalemme Est all’interno di uno stato palestinese vi sarà spazio per la trattativa».
A smorzare la moderazione televisiva di Hanyeh ci pensa il leader in esilio Khaled Meshaal che fa immediatamente sentire il ruggito dell’ala dura ricordando l’indisponibilità del gruppo a scendere a patti con il nemico. «Per Hamas il potere non è un fine in se, ma solo un mezzo per raggiungere i propri obbiettivi - ha ricordato da Damasco il segretario dell’ufficio politico -: noi e i sionisti condividiamo lo stesso destino, se vorranno combattere combatteremo, se vogliono la guerra saremo i figli della guerra, se vogliono la lotta ci batteremo fino alla fine».
Altri problemi per Hanyeh arrivano intanto da Fatah. Dopo il secco no al governo d’unità, il partito del defunto Yasser Arafat chiede al presidente Mahmoud Abbas di decretare lo scioglimento dell’Anp e di dimettersi. La mossa segnerebbe di fatto la fine dell’entità palestinese e lascerebbe Hamas ancor più isolato.

La proposta, emersa dopo l’umiliazione di Gerico, è stata ufficialmente presentata, giovedì notte, al Comitato Centrale di Fatah dal consigliere presidenziale Tayeb Abdel Rahim. L’esponente del Comitato centrale ha proposto ad Abbas «di dimettersi e dissolvere l’Anp se Israele continuerà le sue incursioni e la sua politica unilaterale».

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