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Ora in Sud America vogliono nazionalizzare il calcio

La notizia è arrivata tre giorni dopo la sfida con l'Ecuador per la qualificazione ai Mondiali di calcio in Sud Africa. Il 3 a 1 a favore di Quito che ha escluso la nazionale boliviana non è proprio andato giù al presidente Evo Morales, grande appassionato di futbol. «Ritengo che lo sport, specialmente il calcio, debba essere nazionalizzato - ha sostenuto il presidente -. Non c'è niente di meglio dell'intervento dello Stato in questo campo». Forse avrebbe fatto meglio a dire «sul campo». Già, perché lo Stato, negli ultimi anni, in Sud America, sul campo ci è sceso più volte. La lista di industrie, banche e settori dell'economia nazionalizzati nel "triangolo socialista" (Venezuela, Bolivia, Ecuador) è lunga. Ma fino ad oggi il pallone, almeno quello, mancava.
«La squadra - ha sottolineato Morales - si è dimostrata un'entità privata e autonoma, diretta da personalità sportive, ma incapace di ottenere risultati». Per una volta però a finire nel mirino non è stato l'allenatore. Il ct Erwin Sanchez, detto Platini, è rimasto in panchina, spettatore delle uscite del presidente. Il posto sulla graticola è toccato invece ai dirigenti. «Hanno più colpe dei giocatori nel fallimento della nazionale», ha tuonato Morales. La ragione dell'ennesima disfatta del calcio boliviano (La Paz si è qualificata solo una volta ai Mondiali, nel 1994) è stata imputata alla mancanza di una leadership chiara. Il mondo del pallone, in Bolivia, è suddiviso in tre teste: la Federazione Boliviana di Futbol, la Lega calcio e l'Associazione Nazionale di Futbol. La decisione di Morales non è detto che possa trasformarsi in realtà: la Fifa vieta l'ingerenza della politica nello sport. Ma il presidente indio non è nuovo a scontrarsi con il governo del calcio. Nel 2008 la sfida fu sul divieto alle competizioni internazionali in alta montagna. Un'ingiustizia per Morales, che intraprese una campagna con effetti speciali: dal suo tesseramento per il Litoral, squadra di serie B, alle partite a oltre cinquemila metri, fino a farsi immortalare mentre, scarpini ai piedi, correva dietro la palla sfidando Diego Maradona.
La panacea dell'intervento statale sembra ormai un vizio per i tre promotori del Socialismo del XXI secolo: oltre a Morales, l'ecuadoriano Rafael Correa e il capostipite, il venezuelano Hugo Chavez. Proprio Caracas si è distinta in questi anni per una lunga serie di nazionalizzazioni. L'ultima nel luglio scorso, quando Caracas ha rilevato per un miliardo di dollari il Banco de Venezuela, terza banca del Paese, dalla spagnola Grupo Santander. Così Chavez si ritrova tra le mani oltre un quinto di tutti i depositi bancari venezuelani e diventa di fatto il principale protagonista del settore bancario del Paese. Il leader dal basco rosso aveva già giocato la carta della nazionalizzazione nel campo siderurgico, della ceramica e del cemento. Ma il suo asso nella manica sono state le espropriazioni di pozzi petroliferi e raffinerie. Un esempio subito seguito dall'amico boliviano per il gas. È del maggio scorso la nazionalizzazione della filiale boliviana di una divisione della British Petroleum. A gennaio era stato il turno della società petrolifera Chaco. Prima ancora toccò alla Transredes, filiale della Shell, alla Petrolera Andina della Repsol-Ypf e alla Compania Logistica de Hidrocarburos. Tutte finite sotto l'ombrello della Ypfb, la compagnia petrolifera statale. Più cauto Correa, che si è limitato a inglobare qualche azienda petrolifera e a espropriare i canali televisivi Gamavision e Tc Television.
La sorpresa è invece l'Argentina del duo Nestor Kirchner e consorte Cristina, succedutagli al potere. I due non hanno avuto timore a nazionalizzare la compagnia di bandiera Aerolineas Argentinas e il sistema dei fondi pensione privati. Ma Buenos Aires è intervenuta anche nel mondo del calcio, salvando il campionato argentino dal fallimento. L'aiuto dello Stato si è materializzato in 150 milioni di dollari che Buenos Aires ha garantito alle emittenti pubbliche per la trasmissione in chiaro del campionato e quindi ai club indebitati.

Maradona è avvertito.

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