Ora usano anche l’orrore per attaccare il governo

Balbetta una litania di «non so». Formula, dopo tre mesi e mezzo di indagini, una raffinatissima ipotesi investigativa: «Non posso escludere nessun sospettato al mondo». Infine, dopo aver distillato brevi cenni sull’universo e puntato il dito contro le tv che avrebbero frugato per settimane nel nulla, Massimo Meroni si supera. Mostra ai cronisti un disegno che sembra la fotocopia di quello esibito da Silvio Berlusconi quando ha presentato la riforma della giustizia. Solo che nello schizzo firmato dal premier la bilancia pendeva dalla parte dei pm. Qua lo scenario è un altro. Nell’interpretazione del procuratore aggiunto di Bergamo Massimo Meroni i piatti sono ugualmente sbilanciati. Ma su quello più pesante e sovraffollato siedono contemporaneamente il pm, il giudice e Yara, la povera ragazzina uccisa la sera del 26 novembre scorso. Sull’altro, invece, c’è «il cittadino (presunto aggressore di Yara)». E così Yara diventa due volte vittima. Del suo aguzzino, o forse dei suoi aguzzini perchè oggi ne sappiamo meno di ieri e dunque niente; del tiro alla fune sulla separazione delle carriere e dintorni.
È davvero una conferenza stampa singolare quella convocata dal magistrato bergamasco. I giornalisti accorrono e credono di acciuffare, fra una domanda e l’altra, la svolta tanto attesa. Ma sono pie illusioni. Meroni spiega che «non c’è nessuna pista privilegiata». Navighiamo in alto mare, pure per quel che riguarda il profilo dell’assassino: «Non ci sono elementi per dire che è una persona sola, nè per dire che ci sono più aggressori». E allora? Meroni semina, implacabile, altri dubbi: «Non ci sentiamo di escludere nessun sospetto in tutto il mondo». Il giallo è sempre più giallo.
Non ci sono certezze. Anzi no, una si materializza all’improvviso fra le mani del procuratore. È quel disegno che fa il verso a quello del premier. Il pm, il giudice e Yara, tutti insieme, fanno peso e portano la giustizia dalla loro parte. L’assassino, che si nasconde fra i cittadini, pesta l’aria. Idealmente scalcia, impotente, anche se l’autore ci concede solo sagome pre Flinstones. Il killer è perdente, sulla strada della sconfitta. La mano di Meroni corre veloce e dopo aver abbozzato i personaggi compone anche una didascalia volante: «Mi limito a rappresentare la situazione attuale nella quale la magistratura non rappresenta solo se stessa ma anche la parte lesa e la comunità scossa da questo delitto». Che vuole dire Meroni? Forse pensa che dopo un’eventuale, futuribile riforma, la magistratura rappresenterà qualcun altro? Forse, addirittura i delinquenti? Non è molto chiara la profezia, ma questo passa il convento.
Sembra di stare dentro una fiction, ma è la realtà. «Non sto esprimendo alcun tipo di giudizio», si tira indietro Meroni. Eh no, il giudizio c’è ed è chiaro. Meroni non gradisce che si metta mano alla Costituzione.

Fra i suoi colleghi c’è chi arringa la piazza, chi esibisce la nostra Carta fondamentale, quasi fosse la Bibbia, chi si prepara alla trincea dello sciopero. Lui invece affida la sua protesta ad una matita, come i vignettisti. Piccolo dettaglio, dell’assassino fuori dal disegno non c’è traccia.

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