Politica

«Gli ordini professionali non devono sparire»

«Gli ordini professionali non devono sparire»

Laura Verlicchi

da Milano

«Gli ordini professionali non vanno aboliti, perché servono a tutelare prima di tutto i clienti, cioè i cittadini, e non solamente i professionisti». Il presidente del Consiglio nazionale del notariato, Paolo Piccoli, fa piazza pulita degli equivoci che stanno alla base dei progetti di abolizione, o quanto meno di forte ridimensionamento, degli organismi di tutela dei professionisti. Compreso il «sistema duale» voluto da Romano Prodi.
Come nascono queste proposte?
«A parte l’abolizione totale, come vogliono Radicali e Rosa nel pugno, sono ormai dieci anni che si continua a parlare di sistema duale. Si dice cioè che accanto agli ordini tradizionali, a cui affidare la deontologia professionale, devono esserci le associazioni, per rappresentare le nuove professioni di cui una società in continuo movimento ha bisogno. E a sostegno di questa tesi si cita sempre l’esempio delle associazioni inglesi; dimostrando in realtà di non conoscerle affatto».
Perché?
«Perché è vero che in Gran Bretagna non ci sono gli ordini: in compenso esistono associazioni molto più rigide. In Italia gli ordini non hanno potere normativo perché dipendono dalle leggi dello Stato, che fissa i requisiti per l’accesso alla professione, esame di Stato compreso. Le cosiddette institutions, invece, non solo hanno il potere disciplinare e rappresentativo come i nostri ordini, ma possono decidere sull’accesso e lo fanno in modo discrezionale, come le corporazioni medioevali. Oltretutto, ogni professione ha più di un’associazione, con gli inconvenienti che si possono immaginare. Tant’è vero che la Gran Bretagna sta studiando una riforma delle professioni completamente rovesciata rispetto a quella che si immagina da noi, prevedendo cioè la subordinazione delle associazioni a un organismo statale».
E l’Italia invece che strada dovrebbe percorrere?
«Il sistema duale che si vuole da noi non esiste nel mondo, perché affiancherebbe professionisti con interesse pubblico, come i notai, ma anche i medici e gli avvocati, a tutt’altre figure professionali, sia pure nate dalle esigenze della società: dai tributaristi ai massaggiatori shiatzu, per darle un’idea. Certo, questo non significa che ci si debba arroccare in difesa, rifiutando ogni nuova esigenza: il cambiamento non va subìto, ma vissuto e governato. Come stiamo facendo noi notai».
In che modo?
«Siamo stati i primi, ad esempio, ad aprire alla pubblicità, purchè verificabile. O a stipulare l’assicurazione obbligatoria per risarcire i clienti da eventuali errori del professionista: ce l’abbiamo già dal ’97, con i Lloyd’s di Londra. Tutte richieste, fra l’altro, sostenute anche a livello europeo».
L’Europa però viene spesso chiamata in sostegno da chi vuole l’abolizione degli ordini...
«Sì, ma spesso viene citata a sproposito. Non ci sono solo certe posizioni, molto forti sicuramente, dell’Antitrust sulla concorrenza.

I sostenitori della liberalizzazione dimenticano, ad esempio, che il Parlamento europeo parla degli ordini come di enti che debbono dedicarsi a formazione e deontologia».

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