Ormai tutti indagano su tutti: salta l’equilibrio tra le Procure

Gli equilibri sono saltati, le procure affilano le armi e si fronteggiano, facendo l’un l’altra la faccia feroce. I tesori messi in cassaforte - autostrade di nastri intercettati - diventano pubblici di botto, senza troppo rispetto per il galateo e, in qualche caso, per le regole.
Firenze ci spiega il «sistema gelatinoso» con un trattato di sociologica sottigliezza; Roma, messa nell’angolo dalle indagini bulldozer della magistratura toscana, scoperchia a stretto giro di posta una delle più colossali frodi della storia italiana. E fruga in quegli oscuri bassifondi in cui la ’ndrangheta va a braccetto con la parte peggiore della politica e persino con nostalgie eversive.
A Milano, finora solo capitale della resistenza per via giudiziaria a Berlusconi, cova la nuova Tangentopoli. Per ora sono chicchi di Prosperini e Pennisi, ma presto potrebbero diventare grappoli. Una vendemmia di manette.
Non si va tanto per il sottile, di questi tempi. Forse perché i fili, dentro la magistratura ma anche fuori nei rapporti col palazzo, sono stati tagliati. E poi ogni procura ha dentro gli armadi brogliacci, foto e poderosi rapporti degli apparati investigativi. Ci sono voluti mesi se non anni, per raccoglierli, ora le blindature saltano quasi simultaneamente come tappi di champagne.
«Mi colpisce - spiega Giuliano Pisapia, uno dei più noti penalisti italiani, vicino a Rifondazione comunista - come la procura di Firenze abbia detto a quella di Roma senza tanti giri di parole, che indagava anche ai sensi dell’articolo 27, ammettendo quindi esplicitamente di non avere la competenza per compiere quegli atti. Stupefacente. Una volta si andava avanti, ma almeno si fingeva di avere il codice dalla propria parte. Oggi non è più così».
Sono saltati i riferimenti comuni, non c’è più nemmeno il bon ton. Tutti intercettano tutti. Tutti indagano su tutti. Tutti spalmano di sfiducia tutti gli altri, cominciando dai colleghi in toga. Roma ridiventa il «porto delle nebbie», abitato da fantasmi come il procuratore aggiunto Achille Toro, travolto dall’indagine fiorentina e costretto alla fuga precipitosa dalla magistratura.
Si agisce insomma in una sorta di deregulation. E non c’è più nemmeno il vecchio, deprecabile collateralismo fra una parte della politica e l’ala progressista della magistratura.
Oggi la geografia del potere giudiziario è quasi inafferrabile e mutevole, come il cielo di montagna.
Bari esplora il mondo delle escort approdate a Palazzo Grazioli e mette a soqquadro il business del sistema sanitario, Palermo coltiva i nuovi pentiti e cerca di riscrivere la storia d’Italia, appaltandola agli Spatuzza.
I politici diventano birilli che cadono in un amen, come i Delbono e i Marrazzo. E nella capitale, come anticipa Panorama, si scava su una colossale truffa all’erario, consumata tra San Marino e Madeira.
Le procure, forti del loro sofisticato armamentario tecnologico, colpiscono e si colpiscono. È un modello devastante che è stato testato nella guerra totale fra Salerno e Catanzaro, con i magistrati di Catanzaro spogliati, perquisiti e umiliati dai loro colleghi, a loro volta sguinzagliati sulla pista calabrese da un’altra toga, oggi transitata nei palazzi della politica: nastro nascente dell’Italia dei valori Luigi De Magistris. E con il Consiglio superiore della magistratura e il presidente della Repubblica costretti a raccogliere i cocci di un disastro. «È cambiato il ruolo dei procuratori - sottolinea Fabio Roia, componente del Csm - i procuratori, con le nuove norme sono molto più forti e le procure diventano soggetti autonomi. Abbiamo problemi, problemi crescenti di coordinamento e ci sono procure che chiedono le manette sapendo di essere incompetenti, anzi consapevoli che prima o poi dovranno consegnare le carte ad altri. È una corsa che si è accelerata negli ultimi tempi per disegnare le mappe del malaffare, per disvelare le bolge del crimine e per disarticolare la ragnatela della corruzione».

Come in una filastrocca Firenze indaga sulle Grandi opere su cui indaga anche Roma, su cui indagherà Perugia e su cui pure l’Aquila vuole indagare. È un ingorgo. È la fine di vecchi equilibri. È, forse, un colpo mortale ad assetti consolidati.

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