Curioso, il titolo italiano dellultimo libro di Chuck Palahniuk, La scimmia pensa, la scimmia fa (Mondadori, pagg. 268, euro 15), una raccolta di articoli uscita in America due anni fa come Stranger than Fiction. Altrettanto curioso il libro, che sarebbe facile etichettare come una folkloristica carrellata sulle moderne follie americane, fra giochi gladiatori combattuti con le mietitrebbia, Festival del Testicolo che sembrano una parodia moderna dei baccanali della Roma imperiale, case infestate e tizi strampalati che costruiscono castelli in cemento armato e vetroresina sulle Montagne Rocciose.
Ma il libro, come tutti i libri di Palahniuk, ha due facce. Dietro lapparente solarità delle situazioni e dei personaggi si nasconde il tarlo del dubbio, dellorrido. Come quando Brian Walker, linventore soprannominato «Rocket Guy», dice fra il serio e il faceto di voler creare una linea di giochi chiamata «Giocattoli per un domani migliore», progettati perché un bambino con basso quoziente intellettivo non possa sopravvivere al loro utilizzo. O quando lautore, dopo averci solleticato con i brividi di cartapesta di una casa stregata, racconta dellomicidio del padre. A metà fra le foto di Diane Arbus e un saluto alla bandiera con la mano sul cuore, lAmerica descritta (o inventata, o reinventata...) da Palahniuk è lAmerica profonda, il cuore nero del Paese. Leggere Palahniuk è come entrare nel sistema fognario di New York, nei tunnel di servizio di Disneyland, nel backstage di un teatro off-Broadway (come nellultimo suo romanzo Cavie): insomma, in tutto ciò che resta normalmente invisibile, che sta dietro ciò che, apparendo, viene percepito come immagine reale.
Dopo sette anni di pubblicazione dei suoi lavori in Italia, è forse inutile ripetere per lennesima volta lavvertenza che Palahniuk non è scrittore per stomaci deboli. Leggere i suoi romanzi, e anche questa antologia di articoli, può produrre disgusto, rifiuto. A volte persino incubi. Ma gli incubi, possono far parte di una terapia: in questo caso, unindispensabile terapia di rimozione a livello planetario di quegli strati su strati di politically correctness e di innamoramenti bipartisan che ancora (e, anzi, più che mai, dopo l11 settembre 2001) impediscono di raccontare lAmerica per ciò che è, di raccontare quelli che Chuck chiama «gli elefanti invisibili»: cose enormi, spaventose, che vengono però nascoste allopinione pubblica fino a diventare invisibili. Nel racconto che dà il titolo alledizione italiana del libro, Palahniuk lamenta che nellera delle grandi paure collettive «quel che si spegne è il romanzo trasgressivo catartico». Romanzo trasgressivo catartico è unottima definizione per il lavoro di Chuck Palahniuk.
Il Paese che Palahniuk racconta è lontano anni luce dallessere un Impero del Bene. È anzi per molti aspetti un luogo oscuro, un cuore di tenebra in cui incubano i semi delle nostre follie future, una nuova Inghilterra vittoriana in cui al trionfo della scienza si affiancano degrado morale e materiale. «Finché lAmerica ha una frontiera - scrive Palahniuk, citando il presidente Thomas Jefferson - ci sarà posto per i disadattati e gli avventurieri americani». Quei disadattati e quegli avventurieri che Chuck ha saputo descrivere così bene in questo libro. Lo sguardo fresco e originale di Palahniuk è vivo in questi exploit giornalistici come nei suoi romanzi. Basta leggere «Una lattina di carne umana», articolo scritto dopo un viaggio su un sottomarino nucleare. È un pezzo anomalo rispetto alla vasta letteratura esistente sullargomento, scritto con uno stile apparentemente ingenuo, obliquo, indiretto, che solo a fine lettura rivela la sua potenza di fuoco, quando il lettore realizza cosa sia veramente la vita su un sottomarino munito di testate nucleari, e quale groviglio di pulsioni, repressioni e coercizioni, quale mondo oscuro si annidi dietro le mascelle squadrate e le divise inamidate dellequipaggio.
Stando a Kurt Vonnegut la caratteristica deccellenza dellamericano dovrebbe essere il suo anticonformismo, il suo rifiuto dello status quo. Credo che Palahniuk non possa che piacere a Vonnegut, come sarebbe senzaltro piaciuto, se avesse potuto leggerlo, a un altro grande scrittore e anticonformista americano, Mark Twain.
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