La chiamano «Università», ma la sola parola non significa niente, almeno nel senso che generalmente le attribuiamo. Dovremmo dire: Università degli Studi, e la specificazione è fondamentale per comprendere la funzione dell’istituzione accademica, luogo di ricerca e di approfondimento di tutte le discipline dello scibile umano. Universitas Studiorum è sempre stato sinonimo di libertà, di confronto tra diverse visioni del mondo, punto di riferimento della formazione dei giovani attraverso l’insegnamento di maestri che amano la ricerca della verità
L’Università degli Studi di Padova accolse Galileo Galilei e fu orgogliosa che nel proprio ateneo lo scienziato potesse far conoscere e sostenere le sue teorie, avversate dal dogmatismo ecclesiastico. In quell’Università è ancora conservata con devozione la cattedra da cui insegnò Galilei, e gli studenti di Padova, quando si laureano, le rendono simbolicamente omaggio, quasi un giuramento di fedeltà alla propria autonomia di pensiero.
A Roma, 63 professori dell’Università degli Studi, detta La Sapienza, firmano un proclama con cui si pretende che il Pontefice, il teologo e filosofo Joseph Ratzinger, non metta piede in quell’ateneo, per tenere una sua lezione. E, come pecore, un numero considerevole di studenti si dichiara disposto a seguire quei suoi 63 docenti, pronto ad occupare l’Università, a picchettarla, come si fa durante lo sciopero di una fabbrica, per impedirne l’ingresso al prof. Ratzinger.
L’arroganza e la violenza culturale di questa presa di posizione si commentano da sole. Ciò che sconcerta è il degrado della laicità e il suo arroccamento dogmatico.
È fin troppo ovvio che l’Università degli Studi è il luogo più opportuno per il confronto delle idee: ma come sempre, sulle cose ovvie non si riflette, e così si dimenticano le verità più semplici. Alla Sapienza di Roma si ha paura del pensiero del prof. Ratzinger e del messaggio del Pontefice. I 63 professori di quell’ateneo temono il confronto di idee diverse dalle loro. Probabilmente sono anche preoccupati dal fatto che i loro studenti possano essere corrotti dalle parole del Pontefice e che le loro menti vengano pervertite. Tanto timore per difendere il pensiero laico dall’ottusità religiosa.
Se questa è l’eredità di due secoli di Illuminismo c’è da ridere o da piangere, a seconda del valore che si attribuisce a quella filosofia. In ogni caso una bancarotta. In fondo, quei 67 professori della Sapienza sono la prova vivente del fallimento e dell’inconsistenza di un pensiero che non ha la forza e la tensione morale di misurarsi con il pensiero del Pontefice. Un pensiero in crisi o decadente, incapace di cogliere le tensioni, le aspirazioni, le utopie, le speranze del nostro tempo.
Come al tempo di Galilei. Ma allora era il pensiero cristiano ad essere chiuso in un dogmatismo che non riconosceva il valore delle esperienze scientifiche. Il cardinale Bellarmino non volle guardare attraverso il cannocchiale di Galilei il meraviglioso significato di un nuovo mondo. Alla Sapienza di Roma non si vogliono ascoltare oggi le parole di Ratzinger. Le parti si sono capovolte: dove un tempo c’era esperienza di verità oggi c’è dogmatismo, dove un tempo c’era paura dogmatica oggi c’è un pensiero capace di dialogare con la realtà del mondo, soprattutto con i giovani.
Forse si troverà una soluzione diplomatica e non ci saranno barricate vetero-sessantottine ad impedire al Pontefice di varcare le porte della romana Sapienza. I difensori del dogmatismo laicista piegheranno la testa, ci sarà qualche patetica contestazione studentesca e poi tutto si risolverà in un Ballarò televisivo.
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