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Ostaggi italiani, il rebus delle trattative

I marinai italiani sequestrati al largo della Somalia hanno telefonato a casa. Uno dei primi è stato Pasquale Mulone, di Mazara del Vallo, che ha chiamato la moglie, Giovanna Giacalone. «A turno, dalle 11.30 circa (di ieri mattina), tutti i marinai sequestrati hanno chiamato a casa con il telefono di bordo. Stanno bene, nessun problema con il cibo e con l’acqua», ha riferito la società armatrice del rimorchiatore sequestrato dai pirati somali. Silvio Bortolotti, il responsabile della Micoperi di Ravenna, ha sottolineato che l’equipaggio «viene trattato bene dai pirati e questo ci fa ben sperare». La notizia della telefonata a Mazara del Vallo era stata data dal presidente della Camera, Gianfranco Fini, che ieri ha fatto visita alla moglie di uno dei marinai in ostaggio. «Il marito ha telefonato questa mattina (ieri) e lei si è sollevata dopo averlo sentito. Il consorte ha assicurato che le sue condizioni di salute sono buone», ha spiegato Fini ai cronisti. Il presidente della Camera ha poi aggiunto: «Sta bene, ma ha espresso preoccupazione, come è normale per un sequestrato».
Mulone è uno dei dieci italiani dell’equipaggio del rimorchiatore d’altura «Buccaneer» dirottato sabato scorso nel Golfo di Aden. Assieme ai connazionali c’erano a bordo dell’imbarcazione un marinaio croato e cinque romeni. Tutti inghiottiti nella “palude” somala, dove la pirateria è diventata un affare lucroso, ma con diverse sfumature. Il rimorchiatore si trova di fronte al villaggio di Ga’aan, nel nord della Somalia, vicino al centro più grosso di Laasqoray. Il territorio è quello del Puntland, una regione semi autonoma, un tempo colonia italiana. Secondo fonti somale de Il Giornale i “pirati” sono miliziani, che il governo del Puntland mobilita in caso di necessità. Spinti dal miraggio di un riscatto, ma pure dalle accuse di pesca di frodo internazionale al largo della Somalia e dai casi di rifiuti tossici europei scaricati, in passato, sulle loro coste. Non a caso oltre al rimorchiatore sono stati catturati due pescherecci d’altura egiziani.
«Questa mattina (ieri per chi legge) sono arrivati sul posto gli anziani e i parlamentari del luogo, per risolvere la questione» ha dichiarato a Il Giornale il deputato della zona Said Farah Mohamud. Da Bosaso, la “capitale” del Puntland, tira le fila delle trattative il ministro degli Interni, il generale Abdullahi Ahmed Jama. Lo chiamano “Ilkajir” che vuol dire "dente di topo". Nella zona dove sono trattenuti i marinai italiani comandano gli warsangheli, il suo clan. «L’obiettivo è far passare i due pescherecci ed il rimorchiatore italiano, con relativi equipaggi, sotto il controllo delle autorità del Puntland. Se hanno compiuto violazioni potrebbero venir processati o multati, altrimenti saranno rilasciati», spiega una fonte somala de Il Giornale. Il rimorchiatore trainava due chiatte «il cui contenuto va controllato» sostengono dal Puntland. Si è sparsa la voce che contenevano rifiuti tossici, ma l’armatore di Ravenna nega fermamente. Da Bosaso sono partite due delegazioni verso Ga’aan, dove si trova l’equipaggio italiano, composte anche da funzionari del Pis, il servizio di intelligence del Puntland. Con loro hanno portato un tecnico per esaminare eventuali tracce di rifiuti tossici.

Tutti hanno interesse a risolvere la faccenda senza spargimenti di sangue, ma se qualcosa andasse storto al largo delle coste somale è pronta la nostra nave da guerra «Maestrale», con due elicotteri a bordo.

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