Cronache

Ovada divisa sul caso «Texas»

Ovada divisa sul caso  «Texas»

Paolo Bertuccio

Lo capisci appena sceso dalla macchina, che a Ovada tira aria di evento. Niente squilli di tromba, solo indizi discreti. La vetrina del fotografo, innanzitutto. Accanto alle immagini di sposini e bimbi, fanno bella mostra di sé i volti sorridenti del giovane regista Fausto Paravidino, della bella e ancora poco conosciuta attrice Iris Fusetti e soprattutto della star italo-hollywoodiana Valeria Golino. Poi la locandina di un giornale locale fuori da un'edicola: «Arriva Texas». Infine la fila di uomini e donne di tutte le età davanti al Cinema Comunale.
Già, venerdì 14 ottobre Ovada ha celebrato la chiusura di un ciclo iniziato più di un anno fa, quando Paravidino ha cominciato a battere la zona alla ricerca di interpreti e comparse che rimpolpassero l'eterogeneo cast del suo film d'esordio, «Texas», ambientato proprio nella ridente località dell'alessandrino. Poi le riprese in esterno, la presentazione in anteprima alla Mostra di Venezia, lo scorso settembre, e finalmente, venerdì scorso, l'uscita ufficiale della pellicola. Che Ovada ha festeggiato programmando immediatamente «Texas» nella sala più capiente della cittadina, in barba allo sciopero degli esercenti previsto proprio per quel giorno.
E così arriva il gran giorno: gli ovadesi ci sono quasi tutti. Due proiezioni, una alle venti e l'altra alle ventidue, per accontentare sia chi è semplicemente curioso di sapere che effetto fa vedere casa propria o la piazzetta sul grande schermo, sia chi è maggiormente coinvolto dalla storia del gruppo di amici ventenni raccontata dal talentuoso regista di Rocca Grimalda, magari perché ci ha recitato dentro. È il caso di Ornella Anselmi, impiegata di banca nella vita, credibilissima madre del protagonista Gianluca nella finzione cinematografica. La Anselmi, nell'atrio, si prende i giusti complimenti di amici e conoscenti che escono dal primo spettacolo. Sono molti, e altrettanti sono gli spettatori della seconda proiezione.
Nel buio della sala splendidamente anni Settanta , è evidente che la visione del film sarà ben diversa da quella del resto del pubblico italiano. Perché «Texas» è una storia complessa, che racconta di un manipolo di ragazzi di provincia dalla vita apparentemente tranquilla ma vittime ugualmente di un profondo disagio, dovuto non alla società, ma alla loro stessa mentalità chiusa. Un disagio percepibile in ogni singolo fotogramma di un film maledettamente efficace nel tenere lo spettatore incollato alla poltrona, anche a costo di schiaffeggiarlo con scene al limite del cinismo.
Ma qui, come è giusto che sia, l'attenzione della gente è rivolta principalmente verso la location, verso la caratterizzazione dialettale, insomma, verso tutto ciò che rende il film «ovadese». Così si scoprono curiosi errori di montaggio, come quando tutti notano che una sequenza in cui la Golino cammina per il paese, in realtà è una mistura di inquadrature di tre diversi comuni del circondario. Allo stesso modo, un dialogo estremamente teso e drammatico tra due anziani, recitato in dialetto stretto con i sottotitoli, strappa qualche risatina d'imbarazzo. In generale, comunque, «Texas», coi suoi pregi e i suoi difetti, piace, e quando l'ultima immagine del cielo invernale di Ovada sfuma nei titoli di coda, parte un applauso, inizialmente timido, poi sempre più convinto. A dire il vero non tutti sono entusiasti: qualcuno, evidentemente, si aspettava una sorta di depliant turistico della zona e afferma sconsolato che «a guardare questo film scappa la voglia di venire a fare un giro ad Ovada». A fare da contraltare a questo spettatore è la signora Clara, che riconosce la crudezza del film, ma, afferma, «così è la realtà. Sarebbe ipocrita pretendere che un film così serva a fare promozione turistica. Questa è arte». Suo marito Maurizio lamenta semplicemente «una certa mancanza di ritmo», mentre un ragazzo riconosce lo stile del produttore Domenico Procacci e riassume così «Texas» ad un amico: «Hai presente i film di Ligabue? Quasi uguale, però più triste».
Alla fine, comunque, prevale la soddisfazione. Dopotutto, vedere al cinema il proprio paese è sempre un onore che non capita tutti i giorni.

Specialmente se il film ha qualcosa da dire.

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