Ozpetek: «Sì, penso a Hollywood ma aspetto il copione giusto»

«L’interesse c’è, ci lavoro; però il meccanismo Usa è complicato»

da Roma

Dalla spiaggia di Ostia, dove sta rosolandosi al sole prima di avviarsi al prediletto ristorante di pesce, Ferzan Ozpetek battuteggia al telefono. «Guardi, sono stato frainteso a Salerno. Non ho mai detto che mi vogliono a Hollywood. Intendevo Bollywood, il cinema indiano...». Naturalmente non è vero. Il quarantottenne regista turco-italiano s'è già pentito di aver annunciato, nel corso di una stage al festival Linea d'ombra, una possibile trasferta oltreoceano. «Voi giornalisti... A volte non vi sopporto. Avete fatto titoli del tipo: “Ozpetek come Muccino”, “Anch'io debutto in America”. La cosa mi scoccia un po', come se mi fossi messo in gara con qualcuno. Intendiamoci, Gabriele è bravissimo. Solo a lui, forse, poteva riuscire di girare un film da 60 milioni di dollari, con una star del calibro di Will Smith, restando così profondamente mediterraneo».
Va bene. Ma conferma o smentisce il progetto americano?
«Guardi, l'interesse c'è, ci sto lavorando. Da qualche tempo ho un agente a New York, lo stesso di Giovanna Mezzogiorno. Lui mi spedisce periodicamente dei copioni, dei trattamenti. Uno di questi, è il remake di un piccolo film kazako di quattro anni fa, passato anche in Italia, mi ha molto colpito. Niente titolo (potrebbe essere Skiza di Guka Omarova, in effetti venduto agli americani, ndr), le dirò solo che ci sono stati contatti, telefonate, videoconferenze. Ma di qui a parlare di debutto certo ce ne corre».
E perché mai?
«Perché il sistema americano è diverso dal nostro. Se mostri interesse per un progetto entri in un meccanismo complicato, in una rosa di otto-dieci nomi possibili. E poi stiamo parlando di una compagnia indipendente, non di una grande major hollywoodiana. Certo, Muccino ha aperto una strada, c'è di nuovo attenzione verso i registi italiani».
Proprio Muccino, ieri intervistato da Repubblica, sostiene che «al cinema italiano farebbe bene una cura americana». E aggiunge: «A Hollywood vogliono fare i numeri e i soldi, ma ciò non impedisce loro di capire e valorizzare il talento. Più lì che qui».
«Gabriele, ripeto, è stato grandioso. Mi piace il suo film. Ed è vero che da noi, in Italia, vige il culto dell'autore poeta, del regista demiurgo. Ma in questa fase, davvero, non so bene cosa fare della mia vita. Sono molto stanco, ho bisogno di riposare, di ricaricare le pile. Tra qualche giorno sarò a Cannes, con la mia produttrice Tilde Corsi, per promuovere le vendite estere di Saturno contro. In Italia ha superato i 9 milioni di euro. Poi vedrò. Potrei fare un film in Francia, o uno in Turchia, o uno in America, oppure starmene a Roma, dove tutto è più semplice».
E l'idea di girare a Istanbul Neve, dal romanzo di Pamuk?
«Bah, troppo complesso e difficile da portare sullo schermo. Però è vero che sto leggendo molti romanzi. Con Saturno contro s'è chiuso un ciclo narrativo. Sono un po' stanco di parlare di me e dei miei amici. Cerco altri spunti. L'importante è riuscire a fare un buon film, non importa dove».
Però Cristina Comencini, alla quale gli americani avevano offerto di girare L'animale morente da Roth con la coppia Cruz-Kingsley, alla fine ha rinunciato...


«Ogni film è una storia a sé. Stimo Cristina, ha stile e personalità. E poi ha appena preso Ambra Angiolini per il suo Bianco e nero dopo averla vista in Saturno contro. La ragazza farà una bella carriera d'attrice se saprà scegliere bene».

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