P4, il procuratore fa un comizio-show in tv: condanna la Finanza e i politici sotto inchiesta

Il comizio di Lepore: "Fuga di notizie dalla Gdf. I parlamentari si sentono intoccabili: solo quando si arriva a certe persone si parla di polverone". Preoccupazione tra le Fiamme gialle per il clima di sospetto: "Si sfasciano amicizie"

P4, il procuratore fa un comizio-show in tv: 
condanna la Finanza e i politici sotto inchiesta

Roma Qualche ufficiale dalla memoria lunga si spinge indietro nel tempo fino ai giorni di Mani pulite. E alla decimazione delle divise del disonore. «Non è la stessa cosa - spiega il colonnello - ma ai piani alti delle Fiamme gialle si respira un clima di incertezza e di disorientamento». Disorientamento che all’ora di cena diventa paura. Sugli schermi di La7 si affaccia il procuratore di Napoli Giovandomenico Lepore e spiega che è la caserma di via XXI aprile, insomma, il comando generale a Roma, la meta dell’inchiesta che si sta trasformando in un safari, in una caccia senza quartiere: «Le notizie sull’inchiesta della P4 dall’interno del corpo della Guardia di finanza sono state portate all’esterno».
Parole durissime, con pochi precedenti, quelle del procuratore che entra nelle case degli italiani dal palco di Otto e mezzo. «Che ci siano state fughe di notizie, e molte, è un dato di fatto. Abbiamo capito che ci sono state comunicazioni». Il numero due della Guardia di Finanza, Michele Adinolfi, è indagato per rivelazione di segreto d’ufficio e favoreggiamento, e con lui è precipitato nel registro degli indagati un altro pezzo da novanta del corpo: Vito Bardi, comandante interregionale per l’Italia meridionale. Non solo, altri due generali sarebbero sotto inchiesta e questa contabilità, insostenibile, darebbe da sola la misura di quel che gli investigatori avrebbero scoperto: un network che ridistribuiva notizie riservate agli amici e agli amici degli amici. Una fabbrica delle soffiate che ora sta crollando rovinosamente. «Ci siamo accorti che qualcosa non funzionava quando, ad un certo punto, molti telefoni che erano intercettati sono andati sotto silenzio tutti insieme».
Non basta. Perché Lepore ne ha anche per i politici: «Solo quando si toccano determinate persone si parla di polverone. In questi giorni stiamo subendo un’aggressione vera e propria. I politici si sentono intoccabili. Ma l’inchiesta è seria e non è una cosa gonfiata».
E allora i militari restano nel mirino e si arriva al punto dolente di questa storia: a mettere nei guai Adinolfi è stato un ex ufficiale della Guardia di finanza, Marco Milanese, oggi deputato del Pdl. In un drammatico confronto davanti ai magistrati napoletani, Milanese ha puntato il dito senza esitazioni contro il numero due delle Fiamme gialle: Adinolfi avrebbe informato Bisignani dell’esistenza di un’indagine che lo riguardava. Ma non l’avrebbe fatto direttamente, bensì seguendo un percorso a dir poco tortuoso: avrebbe utilizzato la mediazione del presidente dell’agenzia AdnKronos Pippo Marra, spedito come ambasciatore dal capo della P4.
C’è qualcosa che non torna in questa vicenda anche perché Adinolfi non conosceva Bisignani. Ma quel che lascia basiti è lo scontro fratricida fra Milanese e Adinolfi. Si conoscevano, erano amici, si frequentavano, ora si accusano reciprocamente di dire il falso e, secondo alcune indiscrezioni, nel corso del faccia a faccia sarebbero quasi venuti alla mani. «È tutto molto strano, anzi è incomprensibile - spiega al Giornale un generale - i giornali accreditano fantomatiche cordate che si starebbero combattendo sullo sfondo di guerre di natura psicologica o politica. Ma la verità è che si sfasciano amicizie che venivano prima di tutto. È molto strano».
In via XXI aprile fioriscono le interpretazioni. Qualcuno ricorda che a giugno 2012, fra un anno esatto, le Fiamme gialle dovranno scegliere il nuovo comandante generale e le grandi manovre fra i possibili candidati, un pugno di generali di divisione, sono già cominciate; altri sottolineano che Milanese è sotto inchiesta, sempre a Napoli, per corruzione e questa potrebbe essere una mossa in extremis per alleggerire la propria posizione guadagnare credibilità. Certo, Milanese, che era il braccio destro di Giulio Tremonti, si è dimesso e ha fatto quel passo indietro che in Italia non è merce comune. «Così - afferma laconico al Giornale - nessuno potrà più legale il mio destino a quello del ministro. Tremonti è Tremonti e Milanese è Milanese». Ma a complicare gli intrecci c’è anche il legame sentimentale fra Milanese e Manuela Bravi, la portavoce del ministro, che è diventata un formidabile teste dell’accusa e ha portato conferme alle tesi della procura. Un rebus.
L’indagine è costellata da omissis e gli omissis potrebbero portare a nuove iscrizioni di divise eccellenti nel registro degli indagati. Verbali e intercettazioni, dunque. «Tutti si sono scandalizzati - attacca ancora Lepore - per la pubblicazione delle intercettazioni ma non si è tenuto conto del contenuto. Quando intercettiamo una serie di reati che riguardano la pubblica amministrazione immancabilmente esce fuori la raccomandazione, il politico.

Io spero che il Governo faccia una buona legge, ma temo che non sarà così». E il magistrato, a capo di una procura che è un «supermarket della criminalità organizzata», chiude il suo quasi comizio attaccando dopo i generali e i politici anche «certa stampa».

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