Roma - Due premi Oscar tornano a fare coppia magistrale in un thriller psicologico teso come l’attenzione dello spettatore, fino all’ultimo, quando il gioco di scacchi ricorre alla mossa del cavallo ed è Sfida senza regole (dal 26 settembre), il film di Jon Avnet che affianca Robert De Niro e Al Pacino in una New York contemporanea e marcia. Dove Bob e Al, già insieme nel Padrino. Parte II di Francis Ford Coppola e ne La sfida di Michael Mann (però mai appaiati da cima a fondo come qui), si muovono come pesci nell’acqua, le dentiere a posto, leggermente panzoncello De Niro, lievemente liftato Pacino, ma che classe quando dicono «Anzianità, ragazzi! Imparate qualcosa!» ai colleghi più giovani e farlocchi. Il fatto è che nella Grande Mela s’aggira un killer psicopatico, uno che sul cadavere lascia sempre una poesiola in rima, tipo «La Chiesa non può fermarlo/ qualcuno dovrà farlo», su un foglietto infilato tra le terga di padre Cornell, amante dei bambini dell’oratorio e perciò giustiziato. Magari, c’è un poliziotto che gioca sporco. Qualcuno che odia le carogne e, stanco delle ingiustizie, fa da sé. A chi piace che un assassino di bambini venga lasciato libero dal tribunale? Il finale non si rivela, ma la scena in cui il Bob al «Club 404» di Harlem arresta un’avvocatessa bionda, mentre lui fa pipì al vespasiano e lei si prepara una «pista» di cocaina, allungando lo sguardo, fa sorridere, come molte altre, in questo puzzle fatto di omicidi, pedinamenti, tribunali e, soprattutto, dei due compagni d’armi.
In nero entrambi, più distaccato De Niro, un po’ gonfio dopo le cure anticancro; meno distante Pacino, pizzetto mefistofelico e chioma cotonata, le ultime icone planetarie ieri hanno duettato. «Come siamo finiti insieme? All’inizio, col regista pensavamo a una coppia di poliziotti, con uno più anziano, l’altro più giovane. Poi, ho chiesto: “Non potrebbe essere uno della mia stessa età?”. Così è spuntato Al», il 22 ottobre omaggiato del «Marc’Aurelio» in occasione del Festival di Roma.
«Era tanto che cercavamo di lavorare insieme, ma abbiamo dovuto aspettare e speriamo che non passino altri tredici anni, prima di rifarlo!», riflette De Niro, che durante l’incontro stampa sembrava ora scocciato, ora indifferente, soprattutto quando il più vivace Pacino lo riempiva di lodi. E se De Niro, qui al solito gigione, mentre allunga le labbra all’ingiù, risulta «un attore sensibile e generoso, che ti mette completamente a tuo agio» nella testimonianza di Al Pacino, questi, per Toro scatenato, si è rivelato «un attore, al quale guardare con rispetto e ammirazione, uno con cui mi sarebbe piaciuto aver girato più film». Noti l’uno all’altro da ragazzi, quando si contendevano parti terrific, i due se la sono giocata alla pari. «Quando ci si afferma da giovani, ci si sente insicuri. Ma avere qualcuno come Bob con cui fare il punto della situazione, qualcuno che ti è fratello, è importante. E non sei solo con i tuoi problemi», nota Al Pacino, che disegna il detective Rooster con perizia annotando su un taccuino sogni ed emozioni, come gli consiglia lo psicanalista del dipartimento di polizia, che lo tiene d'occhio... «Recitare consente di esplorare la parte buia della vita. Noi attori abbiamo fame di belle parti... Io in particolare, che faccio teatro appena posso. Come in Sei personaggi in cerca d'autore di Pirandello. Un attore cerca i ruoli, ma spera pure che gli vengano offerti: non mi paragono a Orson Welles, ma anche lui preferiva il teatro al cinema», conclude la star, che debuttò nelle produzioni off-Broadway.
E quanto sono lontani, per De Niro, i tempi in cui era il tassista psicopatico di Taxi driver, quando lui e Martin Scorsese erano un sol uomo, una sola
arte? «Ora mi piace sviluppare progetti e farli maturare, avere idee, da rielaborare col passar del tempo. Mi sarebbe piaciuto aver fatto cose più ponderate. Perché il futuro arriva. E, quando arriva, devi essere pronto».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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