Paco de Lucia, anima flamenca

Il chitarrista domani in concerto al teatro Dal Verme nell’unica data per l’Italia. Figlio d’arte, è partito dalla tradizione popolare andalusa per inseguire poi nuovi territori sonori

Milano per tre giorni capitale della chitarra, con artisti di culto come Beppe Gambetta (genovese ma star in America della chitarra «flat picking»), il leader della Pfm Franco Mussida, l’ex Bluesbreakers di John Mayall ed ex Rolling Stones (entrò nella mitica band alla morte di Brian Jones) Mick Taylor. Sotto la direzione artistica di Ezio Guaitamacchi parte questa sera e domani presenta un appuntamento esclusivo - unica data italiana - con Paco De Lucia al Teatro Dal Verme. De Lucia e la sua cangiante chitarra raccontano da decenni la colorita epopea del flamenco e le sue propaggini nell’arte popolare. Un artista e compositore dalle solide radici nella sua terra e nelle sue tradizioni, ma con un gusto sempre attuale e un’arguzia sottile nell’agganciare i ritmi del jazz, le suggestioni della musica classica, i cascami ora pop ora funky. «Perché non ci sono barriere che possano chiudere le note, la musica vola alta sopra tutti gli steccati - dice -; anche se io nasco dai suoni popolari del mio Paese e la mia anima è flamenca».
Grande virtuoso ma anche grande pittore sonoro che sa screziare i suoi brani con gioia, dolore, erotismo, passione, spleen. Il cuore nel flamenco e l’anima nel futuro, De Lucia si dedica con entusiasmo alla sperimentazione e alla ricerca. Figlio d’arte (il padre è il chitarrista Antonio Sanchez e i quatro fratelli sono tutti artisti, tra cui il fratello Ramón de Algeciras, una delle sue maggiori fonti di ispirazione), è partito dalla tradizione inseguendo nuovi territori sonori ma anche il rigore della musica classica.
Lui vive e interpreta il flamenco come il blues, ovvero come una forma di folk art che da un lato trae spunto dal dolore, dalla miseria e dalla povertà e dall’altro proprio su queste basi si eleva e si perpetua. «Il flamenco lo respiri attorno a te - sottolinea - in famiglia, con gli amici, alle feste di paese, non lo impari studiando la musica ma guardando gli altri musicisti. La vita dei gitani è una vita anarchica, per questo il flamenco non ha regole né disciplina, scorre dalle dita e dal cuore senza mediazioni». E Paco De Lucia si è buttato in questo mondo affascinante alla fine degli anni Cinquanta, appena 14enne, lavorando con diverse troupe di ballerini e soprattutto scoprendo il mago della sei corde Sabicas e altri grandi spagnoli come Mario Escudero. Nella seconda metà degli anni Sessanta comincia a sviluppare il suo stile personale, con precisi riferimenti alle radici e uno sguardo sempre rivolto all’attualità e al futuro. È Fantasia flamenca l’album che allarga i suoi orizzonti, quello in cui la gamma stilistica si amplia, le architetture armoniche si fanno sofisticate, il suono diventa mistero e viceversa. Da allora il successo solista (decine di album che vanno da Recital de guitarra del 1971 alla rilettura dei brani di De Falla del 1978 al famoso Siroco fino ai recenti Luzia e Cosita buenas) si incrocia ai suoi in odor di jazz col sestetto (Solo quiero caminar e Live), con le collaborazioni con miti come Camaron de la Isla, Chick Corea, Placido Domingo, Montserrat Caballé fino al magnifico trio con John McLauglin e Al Di Meola.
Questo è un anno particolarmente ricco di significati per De Lucia: premiato pochi mesi fa con una laurea ad honorem per meriti artistici, festeggia in questi giorni 30 anni di matrimonio e il trentesimo anniversario dell’album live con McLaughlin e Di Meola.

In vista quindi un concerto tutto ritmo ed energia con la collaborazione di Nino Josele alla chitarra, Alain Perz al basso, Israel «El piraña» Suarez alle percussioni, Antonio Serrano alle tastiere, Montse Cortes e Chonchi Heredia ai cori.

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