Il padre di Tommy indagato per video pedofili

Ieri sarebbero arrivate due telefonate, forse sono dei rapitori del bimbo. Una arrivava dalla Germania

Andrea Acquarone

nostro inviato a Parma

Il silenzio stampa finisce con una notizia che raggela una città. Parma. Ma anche il resto di questo Belpaese che ancora una volta si ritrova a fare i conti con ciò che non vorrebbe nemmeno immaginare. Che cosa accade dentro a una casa, dietro alle persiane chiuse, ai televisori accesi e alle tavole apparecchiate per cena? Paolo Onofri, 46 anni, il direttore del più grosso ufficio postale di Parma, il papà di Tommy, il bimbo nelle mani dei sequestratori da ormai otto giorni, per gli investigatori è accusato di pedo-pornografia. È iscritto nel registro degli indagati, almeno da quarantott'ore. Nei suoi computer sono stati trovati quasi quattrocento collegamenti con siti pedo-pornografici. Foto, ricevute e scambiate, indirizzi, community.
La gente ascolta la notizia alla radio, le tv la rilanciano, e si interroga per strada, sgranando gli occhi, fermando i giornalisti e i cameramen che stazionano davanti a Questura e Procura. «Ma è vero? È stato lui? Lui sa?».
È la stessa domanda, lo stesso rebus che attanaglia gli investigatori. Non tutti la pensano allo stesso modo, l'inchiesta continua, nonostante tutto, a svilupparsi su diversi fronti. E non senza discussioni, opinioni opposte, quasi litigi, tra gli stessi inquirenti. Ci sono tutti su questo giallo che sembra inabissarsi giorno dopo giorno in una voragine di difficile soluzione: squadra mobile, poliziotti dello Sco di Roma, carabinieri, con in testa gli specialisti del Ris, magistrati locali e i loro colleghi della Procura distrettuale antimafia di Bologna.
Ma non è detto che il «vizio» di un papà che ostentatamente esibisce sul petto la croce francescana e i suoi nodi votivi, possa ricondurre al vero perché di questo rapimento. Che gli investigatori continuano a definire anomalo. A cui magistrati e poliziotti non riescono a dare spiegazione. «Ho raccolto quelle immagini per poi fare una denuncia», si giustifica lui, nell’ennesimo faccia a faccia con la pm Musti. Visto il numero di prove raccolte avrebbe tuttavia potuto farla da tempo.
Nella vita di Paolo Onofri ci sarebbero però altri buchi neri, a partire dalla gestione dei suoi «affari». Professionalmente parlando. Prestiti, gestioni di conti correnti, a cominciare da quelli dei detenuti del carcere di Parma, forse qualche ammanco. E strani traffici di denaro, passando per San Marino. Si parla di riciclaggio, questo l’altro filone investigativo. Tanti dubbi, a dispetto del tempo che trascorre, non sono ancora sciolti. A partire dalle modalità del sequestro del piccolo Tommy. Poliziotti e carabinieri non sono convinti che sia andata proprio cosi, anzi ritengono che qualcosa non sia stata loro detta. I Ris, guidati dal colonnello Garofano, si sono presi qualche ulteriore giorno di tempo: i risultati delle loro analisi dovrebbero arrivare tra lunedì e martedì.
Nel pomeriggio, i magistrati di Parma e della Dda di Bologna sono fuggiti verso il capoluogo emiliano per sedersi davanti al procuratore capo di Bologna Enrico Di Nicola. Onofri, invece, fumava nervosamente davanti alla casa del cognato a Martorano, piccola frazione alle porte di Parma: una porzione di villetta dove un boxer ringhia al cancello. Esce suo nipote, il figlio maschio della sorella di Paola Pellinghelli, Alessandro, le uniche, arrabbiate, parole.
La mamma di Tommaso, sua zia, invece fugge su una «Mini». Anche su di lei pesa un teorema. Possibile che non sapesse? Dunque potrebbe nascondere qualcosa. Le hanno sequestrato un diario, si legge che il matrimonio con Paolo, da un po' non funzionasse più come avrebbe voluto e sperato. Una famiglia sgretolata in diretta. Che cosa resta? L'avvocato di famiglia Claudia Pezzoni che non parla più e anzi si ritrova nel ruolo di «interrogata» (come persona informata dei fatti); l'amico degli Onofri, il sindacalista col Mercedes Claudio Borghi, che ha lanciato il numero verde per la liberazione di Tommy e che da un paio di giorni ha smesso di essere gentile. Ieri sarebbero arrivate altre due telefonate, chissà se dei veri rapitori, a quel numero. Gli inquirenti, le stanno verificando tra le altre. Una delle chiamate sarebbe partita dalla Germania.


Eppure, gli investigatori, sembrano pensare che questo piccino di diciassette mesi sia decisamente più vicino. E, soprattutto, ancora vivo. Tutto ciò, mentre il papà dell’ostaggio ripeteva: «Non conosco i rapitori, rivoglio solo il mio bambino».

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