Il Padrino cambia la voce

I tre film riescono in dvd con doppiatori tutti diversi. Stefano De Sando farà parlare Brando

Il Padrino cambia la voce

Roma - Alzi la mano chi non ricorda Marlon Brando nel Padrino, quando sussurra, voce arrochita, piglio carismatico, le guance deformate dall'ovatta: «Gli farò una proposta che non può rifiutare». Don Vito Corleone, epitome del boss saggio e spietato, l'altra faccia dei Riina e dei Provenzano, è un monumento del cinema, comunque si giudichi il film di Coppola e la mafia mitizzata sullo schermo. Noi italiani, poco avvezzi alle versioni originali sottotitolate, l'abbiamo conosciuto attraverso il timbro caldo e pastoso, inimitabile, di Peppino Rinaldi, scomparso l'altro giorno a 88 anni. Un re del doppiaggio, l'uomo che ha dato voce a star del calibro di Paul Newman e Jack Lemmon, oltre a Marlon Bando, differenziandosi ogni volta, senza rifare perennemente se stesso.

Una sfida per chiunque confrontarsi con quell'eredità. «Se prima mi tremavano i polsi, ora mi tremano anche le caviglie», mormora infatti Stefano De Sando, 53 anni, calabrese cresciuto a Roma.

Attore-doppiatore dal volto poco conosciuto ai più ma dalla voce inconfondibile, custodisce nel suo medagliere Robert De Niro (cominciò con Mission), Sam Shepard, Nick Nolte, Martin Sheen, star tv come James Gandolfini (I Soprano), Mandy Patinkin (Criminal Minds), Anthony LaPaglia (Senza traccia). Proprio lui ha appena finito di doppiare il primo Padrino per una versione rimasterizzata, tecnologicamente avanzata, voluta dallo stesso Coppola. Il cofanetto con i tre film uscirà a Pasqua, e sarà una pacchia - tra extra, curiosità, backstage, scene recuperate - per i patiti della saga. Ma è soprattutto una questione di suono: i nuovi sistemi home theatre (in gergo: 5.1) contemplano l'effetto surround, da cinema-cinema, impossibile da ottenere coi vecchi dvd del Padrino. Si spiega così l'idea di doppiare ex novo gli episodi, sull'onda di quanto già fatto per C'era una volta in America e Apocalypse now.

I nostalgici protesteranno? Vedremo. Per dire, Al Pacino parlerà con la voce di Massimo Rossi, non più di Ferruccio Amendola; Robert Duvall con quella di Angelo Maggi, non più di Cesare Barbetti. Ma è Marlon Brando la scommessa vera, specie da quando Maurizio Crozza s'è messo a parodiare l'eloquio mafioso di Don Vito Corleone per riderci sopra. «Che cosa provo in queste ore? Grande malinconia», sospira De Sando. «Con Rinaldi muore un maestro. Come Carletto Romano e Pino Locchi, possedeva un tocco speciale. Sapeva aderire allo sguardo degli attori che doppiava, possedeva una timbrica unica, vocale e riproduttiva. Il suo capolavoro è Jack Lemmon in coppia col Walter Matthau di Renato Turi: insieme erano insuperabili».

Non sarà stato facile reinventare Don Vito Corleone alla luce di quel precedente. «Un giorno Rodolfo Bianchi, il direttore del doppiaggio, mi chiama e dice: "Dobbiamo rifare Il Padrino, c'è una cosetta per te". Non pensavo a Brando. Invece il provino è andato subito bene. Superata la sorpresa, ho lavorato sull'emissione vocale, seguendo la colonna originale dei dialoghi. Brando è fenomenale nell'imbolsire la voce tra la guancia e la maschera, nel giocare sul doppio registro suadente e minaccioso, nel rendere con fonia roca le sfumature del mafioso che si crede intoccabile, invece...». Solo una volta, confessa, gli è venuto da sorridere, quando ha inciso la battuta sulla proposta che non si può rifiutare. «Troppo famosa, citata. Un po' come quella che intona Robert Duvall in Apocalypse Now. Ricorda? "Adoro l'odore del napalm al mattino… ha il sapore della vittoria"».

Magari, nella scelta, ha contato una certa dimestichezza nell'applicarsi a personaggi di matrice italo-americana. «Tony Soprano mi piace molto. È un mafioso complesso, dolente, che va dall'analista, ribalta molti stereotipi del cinema. Così come De Niro. L'importante, in questo mestiere, è mettersi al servizio di chi doppi. Io vengo dal teatro, ricordo ancora i complimenti di Gassman per una Bisbetica domata che interpretai tanti anni fa. Ma doppiare impone disciplina. Guai a mettere la voce davanti a tutto, rischi di farti bello ai danni del personaggio. Non sei un bravo doppiatore se non intoni la tua voce allo sguardo, ai respiri dell'attore.

Prenda la morte di Don Vito Corleone, da vecchio, nell'orto, mentre gioca col nipotino. Una scena difficile, fitta di sfumature, di sussurri, la fine quieta di un uomo profondamente cambiato. Spero proprio di non sfigurare nel confronto con Rinaldi».

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