Il paese commosso Il Cipe? Uno di noi

Marco Guidi

Chi reca in mano un mazzo di fiori, chi nasconde a stento le lacrime dietro un paio di occhiali scuri. Parenti, amici, ex compagni di squadra. Tutti vogliono salutare per l’ultima volta il «Cipe». C’è anche il benzinaio dell’Agip del posto, con tanto di divisa e figlioletto al seguito. Da quando il cancello di villa Giovanna, la casa di Cassano d’Adda dove Giacinto Facchetti ha vissuto negli ultimi trent’anni, è stato aperto alle 10 e 35 di ieri, una continua, lenta processione affolla l’ingresso. Già la sera precedente, villa Giovanna aveva ricevuto la visita di alcuni giocatori dell’Inter, reduci dall’allenamento ad Appiano Gentile. Il tecnico Roberto Mancini, Marco Materazzi, Esteban Cambiasso, Francesco Toldo.
Proprio all’entrata è stata allestita una piccola camera ardente. E lì, proprio accanto al feretro del presidente del club nerazzurro morto lunedì all’Istituto dei tumori di Milano, la moglie Giovanna riceve gli ospiti seduta su un divano. Una visita consentita solo alle persone conosciute dalla famiglia, mentre oggi pomeriggio, ai funerali, chiunque lo voglia potrà omaggiare Giacinto «Magno». Un salto alla casa di Facchetti, anche per firmare il triste registro. Ci sono Candido Cannavò, Gianmaria Visconti di Modrone, Adelio Moro, Giovanni Lodetti. E poi loro, quelli della grande Inter, che per ben due volte salì sul tetto più alto d’Europa, conquistando la Coppa Campioni. Mario Corso, Luisito Suarez, Gianfranco Bedin. E altri compagni di squadra degli anni successivi, come Roberto Boninsegna. Lui, il Bonimba, che ricorda ancora «il cross perfetto di Giacinto che mi fece realizzare il gol più bello della mia carriera, in un Inter-Foggia di tantissimo tempo fa». Già, fu una splendida azione, suggellata con una rovesciata imparabile. Era la stagione ’70-’71, ricordi da brivido: Inter campione d’Italia, Giacinto Facchetti a braccia alzate in segno di vittoria.

Che emozioni, verrebbe da dire.

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