«Ma che fa, si scrive tutto parola per parola? Ma così mi fa fare la figura del cazzone!»
Ma no, procuratore, che dice? Io le chiedevo solo se non c’è stata anche una sua responsabilità nella jacquerie di Rosarno, nella rivolta dei braccianti neri e nel manicomio che ne è seguito...
«Ah, ecco, perché se mi fa fare la figura del cazzone abbiamo finito di parlare».
Dica dunque.
«Insomma: se c’è la notitia criminis, si procede; ma se mi chiede perché l'Inps o l'Ispettorato del Lavoro non hanno fatto i controlli; o mi domanda dov’erano i Carabinieri, la Polizia e la Finanza, e dov’erano il commissario prefettizio di Rosarno e i sindacati, non è un problema che rientra nelle mie competenze. Io reprimo reati. Ma che fa? Si segna pure questo? Allora è vero che vuole farmi fare la figura del cazzone! Allora abbiamo finito la nostra conversazione. Ma le pare? Io prima di venire a Palmi ero vicecapo dell’ufficio legislativo del ministro Alfano, mi spiego? E prima ancora di Mastella...».
Giuseppe Creazzo, 54 anni, da otto mesi procuratore della Repubblica a Palmi. Dovrebbe avere 10 sostituti in organico. Ne ha quattro. In otto mesi si è ritrovato con dieci omicidi sul groppone. Lo vede anche lui, ora, che quei 1.500 africani che invece di raccogliere cotone in Alabama come tre secoli fa raccoglievano arance in Calabria la settimana scorsa, e campavano in condizioni tali da destare lo sdegno della Bbc e dei giapponesi, erano una bomba a orologeria pronta a esplodere. «Ma se hai una ferita a un’unghia, e ti manca un piede, di che cosa ti preoccupi maggiormente?» si domanda a voce alta il dottore Creazzo.
Azzardo. Posso farle dire che c’è stata da parte sua una certa sottovalutazione...?
«Una sottovalutazione», soppesa. «Una sottovalutazione collettiva», concede infine, guardingo.
...E che le era sfuggita un po' la dimensione del dramma?
«Sfuggita nella sua acutezza. A me e forse anche agli altri».
Se parlate con il procuratore di Palmi, o con il commissario prefettizio di Rosarno, Domenico Bagnato, è facile che vi venga in mente la storia tragicomica di Vitangelo Moscarda, protagonista di Uno, nessuno e centomila, la commedia forse più intensa e più angosciosa di Pirandello. Storia in cui la realtà perde la sua oggettività e si sgretola nel vortice del relativismo. Io, tu, lui, chi lo sa? Chi è stato? Tutto è possibile. Dipende da dove si guarda, mi hanno risposto tutti quelli coi quali ho parlato. Sicché io stesso alla fine non saprei dire se c’è stata più indolenza, inefficienza, complicità, omissione di controllo; o se non sia stato un manicomiale caso di tolleranza pietista, di strabico buonismo. Fermo restando che non è compito delle Forze dell’Ordine, della magistratura, degli enti locali e di quelli preposti al Lavoro e alla sua tutela surrogare il compito dei preti, della Chiesa e della Caritas.
«Chi ha sbagliato ora paghi», reclamava a sciabola sguainata il titolo del Giornale di lunedì scorso. Dopo due giorni passati a Rosarno posso tranquillizzare il lettore. Non pagherà nessuno. Il barile, in questo gioco circolare in cui noi italiani siamo campioni olimpici, non cade mai di mano ai nostri giocatori, durante le operazioni di scarico. Figuratevi se può cadere di mano al prefetto Domenico Bagnato e ai suoi collaboratori Rosario Fusaro e Francesco Campolo, che dal 20 ottobre 2008 reggono le sorti del Comune di Rosarno, commissariato per infiltrazioni mafiose. Ecco Bagnato, catafratto in difesa: «Al momento del nostro insediamento abbiamo preso atto di questa situazione che si rinnovava da oltre un decennio. Una situazione notoriamente conosciuta da tutti. Una storia già vista a Villa Literno, nel Casertano, nel Foggiano. Tutti sanno e sapevano. Della situazione di degrado abbiamo avvisato tutte le autorità». Perfetto.
Forse però sarebbe stata più efficace un'ordinanza di sgombero, obietto. «Se abbiamo sbagliato, abbiamo sbagliato tutti - risponde Bagnato -. Noi abbiamo privilegiato l’aspetto umanitario. Abbiamo dato assistenza. È stato un errore, o un modo per alleviare il disagio di questi sventurati? Se vede un moribondo gli chiede la carta d’identità o lo soccorre?». E racconta del contributo di 50mila euro (visti finora: 15mila) ottenuto dalla Regione; del Centro di aggregazione per immigrati regolari da edificarsi su un terreno confiscato alla mafia grazie al milione e 980mila euro messi a disposizione il 16 dicembre scorso dal ministero degli Interni; dell’abbattimento dell’ex fabbrica Rognetta, dove suppuravano gran parte degli africani che poi si sono sollevati («c’è già lo stanziamento di 930mila euro da parte del Ministero; l'abbattimento della Rognetta era già in programma per febbraio, marzo») e i 200mila euro avuti dal Dipartimento Immigrazione per l'acquisto di wc chimici e container docce che poi gli africani, a detta di popolo, invece schifavano, preferendogli l’agio dell’aperta campagna e di un canneto in prossimità di una scuola. Dunque perché sto ancora qui a far domande su domande che irritano Bagnato («Se è venuto a fare un interrogatorio ai colpevoli, quella è la porta», minaccia quest'uomo che è stato questore a Foggia e gli interrogatori li ha condotti lui per tutta la vita; dunque figurarsi se ora gli va di farsene fare uno dal sottoscritto, col rischio di vestire gli antipatici panni già respinti dal procuratore di Palmi)? Forse, mi dico, la colpa è stata dei Carabinieri. I carabinieri sanno sempre tutto, sono dappertutto. Possibile che gli sia sfuggita questa bomba umana che aveva già la miccia accesa? Provo con la Tenenza di Rosarno, ma mi dirottano alla compagnia di Gioia Tauro, e di qui al Comando provinciale di Reggio Calabria. Al telefono il maggiore Caputo, addetto ai rapporti con la stampa: «Se abbiamo una parte di responsabilità? Be’, non è una risposta semplice da articolare. Sono valutazioni un po' pesanti. Ne parlerò col comandante provinciale. Ma credo che ci vorrà l'autorizzazione del Comando Generale. Mi lascia il suo numero di telefono?»
Silenzio assoluto al commissariato di Gioa Tauro. Cerco la dottoressa Russo, alla Questura di Reggio, ma il telefono squilla a distesa. C’è qualcuno che ammetta di aver sbagliato al sindacato? Nino Surace, della Uil di Rosarno: «Non abbiamo fatto una denuncia alla magistratura perché era tale l'evidenza... E poi non compete a noi». Anna Papasidero, della segreteria confederale della Cgil: «Il 21 marzo, all’auditorium di Rosarno, denunciammo le condizioni di vita dei migranti di fronte al presidente della Regione, Agazio Loiero. Insomma, lo sapevano tutti».
Sulla strada fra Rosarno e Gioia Tauro, distese di aranceti gravidi di frutti magnifici che nessuno raccoglierà. Peccato, dite? Mah, mica tanto si direbbe, a giudicare dalle montagne di arance e di clementine accatastate nell’enorme stabilimento dei fratelli «Spagnolo». «In tempi normali - mi dice Domenico Spagnolo - mandavamo tre Tir al giorno solo all’Esselunga, a Milano. Ora siamo a un Tir per settimana di tarocco. La crisi». Vado a vedere lo stradone sul quale marciarono i neri in rivolta. A destra e a sinistra, insegne in frantumi, vetri rotti, i segni della rivolta e della gran fiaccolata anti razzismo di lunedì.
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