Il Paese dove non sei un patriota se non professi la fede ortodossa

In Georgia le minoranze religiose, come quella cattolica, vivono tra difficoltà e intolleranza. Il vescovo Pasotto: «Da tre anni non riusciamo a costruire una chiesa»

Serena Sartini

da Tblisi

«Siamo perseguitati. Anche se non fisicamente, ci sentiamo sotto tiro. Gli ortodossi hanno paura di una nostra espansione, temono un proselitismo dei cattolici e da 15 anni a questa parte la situazione è persino peggiorata». Georgia, crocevia di culture e fedi, ponte tra Europa e Asia, terra di colonizzatori, dai persiani all'impero russo: un mosaico etnico e culturale complesso. Nella capitale del Paese caucasico, Tblisi, ortodossi, armeni, caldei, cattolici, musulmani ed ebrei convivono pacificamente. Qui ci sono due chiese cattoliche: la cattedrale dell'Assunta, nel centro storico, e la chiesa dei Santi Pietro e Paolo, guidata da un sacerdote polacco, padre Adam Ochal. È questa l'unica chiesa in tutta la Georgia rimasta aperta al culto nei 70 anni del regime sovietico. Ufficialmente il dialogo, l'incontro e l'accoglienza sono i tratti salienti di questa convivenza. Ma nella vita concreta, le minoranze soffrono. E i cattolici cercano di sopravvivere tra difficoltà e intolleranze. Tutto questo avviene in un Paese in fase di trasformazione, a 25 anni dall'indipendenza della Georgia dall'ex Unione Sovietica, e a 13 anni dalla Rivoluzione delle Rose, il primo ottobre del 2003, quando il leader Mikheil Saakashvili prese il potere strappandolo al vecchio Eduard Shevardnadze, residuo sovietico, portando la Georgia nell'orbita occidentale.

Dalla fine dell'epoca sovietica, la chiesa georgiana ortodossa ha vissuto una grande rinascita. Sono state restaurate molte chiese antiche che sotto il dominio di Mosca erano state distrutte o trasformate con iconografia e cultura ortodossa russa e ne sono state costruite di nuove. La chiesa ortodossa georgiana è autocefala, è una delle più antiche chiese cristiane e trova le sue origini nel I secolo. Nel 1917 i vescovi georgiani proclamarono l'autocefalia (ovvero una chiesa totalmente indipendente in cui il Patriarca non riconosce alcuna autorità religiosa al di sopra di sé) che non fu accettata dalla chiesa russa. Riconobbe l'indipendenza solamente nel 1943. Nel 1989 il Patriarcato ortodosso di Costantinopoli riconobbe e approvò l'autocefalia della chiesa ortodossa georgiana. Oggi, oltre l'80% della popolazione si riconosce ortodosso georgiano. C'è un modo di dire che ben mette in evidenza l'identità culturale con quella religiosa: «Non sei ortodosso? Allora non sei georgiano».

In questo scenario, come vivono i 110mila cattolici nel Paese caucasico? L'intolleranza non manca, soprattutto quando la chiesa ortodossa scorge una minaccia di espansione nella vita pubblica dello Stato. Ne è un esempio la costruzione di una nuova chiesa cattolica. «Abbiamo un buon rapporto con il Patriarcato ortodosso racconta al Giornale monsignor Giuseppe Pasotto, amministratore apostolico del Caucaso e vescovo per le comunità cattoliche di Georgia e Armenia ma la chiesa cattolica vive numerose difficoltà. Come tutte le minoranze soffriamo e non mancano ostacoli. Da tre anni cerchiamo di costruire una nuova chiesa, a Rustavi (una città industriale a pochi chilometri da Tblisi, ndr), ma non ci riusciamo». Il motivo? «Ufficialmente il sindaco non ci dà il permesso e ci sono problemi burocratici risponde Pasotto ma sotto sotto c'è il Patriarcato ortodosso che non vuole. Hanno paura di una nostra espansione, territoriale e di fedeli». E ancora: «Ci sono casi di discriminazione, i cattolici a scuola vengono spesso additati come eretici. L'unione tra religione e nazione fa parte della cultura d'Oriente e se non sei ortodosso, non sei considerato georgiano».

Le difficoltà si sono mostrate anche in occasione della visita del Papa a Tblisi. «Ci sono state manifestazioni contro il suo arrivo qui in Georgia racconta il vescovo e inizialmente volevamo organizzare un viaggio anche nel sud del Paese, dove vive la maggioranza dei cattolici, ma non è stato possibile». Altro niet del Patriarcato che all'inizio non voleva concedere nemmeno l'ok a una visita di Francesco nella sede del Patriarcato. Poi però c'è stato un ripensamento, dietro forte impulso del presidente georgiano. La storia della mancata chiesa a Rustavi è indicativa. Pasotto, stimmatino veronese, ha fatto costruire una porta santa a cielo aperto, sul terreno dove dovrebbe innalzarsi la chiesa. Una sfida, un gesto simbolico, per dire che i cattolici non si arrendono, sono pazienti, come paziente è la misericordia di Dio. «I cattolici in Georgia vivono nella diaspora ci racconta un sacerdote non ci sono discriminazioni politiche, né da parte del governo; abbiamo le nostre chiese dove celebrare liberamente, ma i fedeli stanno purtroppo diminuendo. Secondo gli ortodossi c'è proselitismo, ma non sono d'accordo. Predichiamo il Vangelo nelle nostre chiese, non per strada, e accogliamo tutti, anche gli ortodossi. Insomma, non c'è aperta persecuzione, ma specialmente nei villaggi i giovani e i bambini non vengono a messa perché si dice che i georgiani devono essere ortodossi. Altrimenti, tradiscono la patria».

Quella georgiana è da sempre una delle chiese ortodosse più conservatrici; da qui le difficoltà nel dialogo sia con i cattolici che con le altre confessioni cristiane. Lo scorso giugno, il Patriarcato georgiano è stato uno dei quattro ad aver dato forfait al Concilio pan-ortodosso di Creta, organizzato dopo oltre un millennio dall'ultimo. E anche in occasione della visita del Papa a Tblisi, lo strappo non è mancato. Nessuna delegazione ortodossa ha preso parte alla messa nello stadio della capitale georgiana. «I rapporti tra la chiesa ortodossa e quella cattolica si sono interrotti nel Medioevo spiega l'arciprete Kakhaber Gogotishvili, che ci ha ricevuti nella sede del Patriarcato a Tblisi il dialogo è continuato sul piano culturale e artistico, ma su quello teologico e eucaristico le differenze permangono. Per questo non ci sono state né preghiere comuni né partecipazione alla messa». Pochi giorni prima della celebrazione di Francesco, il Patriarcato aveva emesso una nota per scoraggiare la partecipazione dei fedeli alla messa. Paura di proselitismo, si leggeva tra le righe. «A me, della visita di Francesco, rimangono immagini commoventi e rivelatrici - racconta l'ambasciatore italiano in Georgia, Antonio Bartoli -. Il Papa con il Patriarca mano nella mano nella cattedrale di Mtskheta, culla dell'ortodossia georgiana. Il suggestivo e ancestrale canto in aramaico, la lingua di Gesù. Le candele accese insieme. La promessa di pregare l'uno per l'altro. La struggente danza dei profughi e dei disabili nell'ospedale dei Camilliani. Testimonianza di una comunità cattolica limitata nel numero ma protagonista nel sociale, dalla Caritas alle suore di Madre Teresa. E capace di condividere e alleviare le sofferenze di questo Paese. Certo, c'erano anche i fondamentalisti a protestare contro il Papa eretico. Ma erano cartelli e drappelli minoritari. I problemi ci sono. E non solo per i cattolici. Dai Testimoni di Geova ai musulmani, le minoranze hanno vita più difficile. Il Papa è venuto per tutti. E ha indicato la strada. Ha esortato a non trincerarsi nel pessimismo, a non abituarsi a un microclima ecclesiale chiuso. Ha lasciato le dispute ai teologi e sottolineato che il proselitismo è nemico dell'ecumenismo. L'importante è camminare insieme, riconoscere che è molto più ciò che ci unisce di ciò che ci divide.

La porta giubilare della chiesa negata di Rustavi accanto all'altare della messa del pontefice era aperta al dialogo. Simbolo di speranza, non di polemica». Come la speranza di vedere presto innalzarsi la nuova chiesa, per l'appunto intitolata alla Divina Misericordia.

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