Il paese natìo che molla Umberto «Però ci manca quel casciabàl»

Sulla targa della città, nelle «o» di Cassano Magnago c’è il Sole delle Alpi. Il navigatore segna «centro» proprio davanti alla sede della Lega. Tapparelle abbassate, bandiere a mezz’asta, portone sbarrato, ma il lutto del giorno dopo non c’entra. «Mai vista aperta» dice Felice al Circolo dei cacciatori, «bossiano per la sostanza, e Maroni non l’ho mai visto qui». Il fatto è che la Lega non aveva bisogno di un ufficio, bastava la strada. Qui a casa di Bossi si vinceva e basta. Prima per entusiasmo, poi anche per inerzia. Perché non è che non ci sia da lamentarsi. La storia del centro, per dire. È il viale alberato che porta al cimitero, il centro, non c’è una piazza nemmeno davanti alla chiesa o al Municipio. «Il partito che ha fatto delle radici e della tradizione una bandiera, non ha saputo creare un punto di aggregazione» dice adesso Mauro Zaffaroni, che ha messo insieme il Pd, l’Idv, la Federazione di sinistra e una lista civica e ha strappato un inedito 39 per cento, staccando di 20 punti esatti Stefania Federici del Carroccio.
Lo chiamano «il miracolato», perché sono 19 anni che qui non sventola bandiera tricolore, figurarsi rossa. I segnali c’erano. La vittoria di Giuliano Pisapia a Milano, la sconfitta di Giovanna Bianchi Clerici a Gallarate. Si son vestiti di arancione e hanno tentato la rivoluzione. Fra due domeniche c’è il ballottaggio con Nicola Poliseno di Pdl e Udc. Al bar fanno i conti: «Se Lega e Pdl correvano assieme vincevano, non è detta l’ultima parola». E però intanto «il forzaleghismo» per partito preso non esiste più. Votavano Lega a occhi chiusi, ora «abbiamo scelto la persona: Zaffaroni è un neurochirurgo, lo conoscono tutti, tanto vale provare questa sinistra».
L’annuncio della disfatta ha una data: 25 aprile. Alla festa della Lega le prime 200 persone mangiavano gratis. Non ha pagato nessuno. Solo l’anno scorso la gente faceva la fila per rivedere l’Umberto. L’amico di sempre, il «casciabàl» lo chiamavano, un po’ affettuosi e un po’ rancorosi, ché «i vecchi, quelli che lo conoscevano bene, ce l’avevano un po’ su con lui, aveva fama di esser più furbo che intelligente» dice il carrozziere, Franco Verderio, che l’Umberto lo conosce perché andava a scuola col fratello Franco. E sì vabbè le inchieste. Ma mica son tanto quelle ad aver pesato: «Quando vanno a Roma diventano tutti ladroni, anche a casa loro», dicono i vecchi fra il caffè e il bianchetto. Per capire la parabola di voti del Carroccio, bisogna guardare la parabola del Capo. E il simbolo in fondo è questa cittadina, che subisce invece di approfittare della posizione ambientalmente scomoda ma logisticamente strategica fra la Pedemontana, l’Autolaghi e la superstrada per Malpensa. È qui, nelle tappe della vita di Bossi, che capisci l’entusiasmo della partenza e la delusione dell’arrivo.
La casetta bianca monofamiliare dove è nato sta al numero 20 di via Volta, un po’ su in collina, quartiere Soiano. Nel giardino a fianco vive ancora Luciano Mazzucchelli, l’amico di tutta la vita. Chiedi di Umberto e ti mostra il dipinto della Madonna con bambino che fece suo padre. Era il 1941, dicembre. «Io son nato il 13 maggio, l’Umberto il 9 settembre. Quella sera lui strillava, mio padre è andato a vedere. Torna e dipinge Gesù con le fattezze di Bossi». In effetti, mai bambin Gesù fu più bruttino. Diceva che studiava, l’Umberto, alla scuola Radioelettra di Torino, o forse a Novara, «so minga se era vero». Erano più le scorribande. La ghiaia fatta scivolare in testa alle suore quando aprivano il cancello, l’attesa delle ragazze che uscivano da messa «per portarle a cercar lucciole nei prati», i pomeriggi giù al Ticino a prendere il sole, il pane e vino dati al cavallo per farlo correre più forte, le balere nei paesi a fianco, sempre in giro con la moto Gs. «Poi parto per il militare, faccio due anni in Marina - racconta Luciano - l’Umberto il militare non lo fa, forse per l’insufficienza toracica, era magrissimo. Torno e s’è fidanzato con la Paola Tosato, la fruttivendola. Piaceva a tutti, anche a me. Se l’è portata via lui, che aveva la parlantina migliore. Ma non l’ha sposata». Soldi sempre pochi, «quelli che aveva, li spendeva tutti». Poi gli è presa «la fissa» della politica, ma non stava già più qui. Da qui, la famiglia Bossi se n’è andata quando il padre, una sera che guidava il furgone dei cavalli senza luci, ha investito un ragazzo in moto. «Per pagare l’assicurazione s’è mangiato la casa: una tragedia» racconta Maria, che vive nella casa in cui nacque il futuro Senatùr.
«Birbante», «somaro», «inaffidabile», il Bossi. Cantava nei locali, fece pure due Cd, «Ebbro» e «Sconforto»: visti da ora, mai titoli furono più azzeccati.

A modo suo geniale. «A l’è partito come quel Grillo lì». Poi ha continuato a farsi vedere, anche dopo la malattia. E adesso? «A l’è sgangherà». Ma c’è un vecchio detto da queste parti: «Più nero del buio non può venire».

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica