da Roma
Raffaele Bonanni, segretario generale della Cisl. Ci si prepara a un Natale meno ricco?
«I cittadini sono più poveri e preoccupati. E quando si è preoccupati non si spende».
Colpa dei rincari improvvisi negli alimentari?
«Non solo. Ci sono anche i mutui. Si continua a dire che in Italia non c’è una crisi tipo quella dei subprime negli Stati Uniti, ma io ho in questi mesi ho parlato con centinaia di persone. Lavoratori che alle assemblee sindacali mi hanno parlato di mutui partiti da 600 euro e arrivati a 750 in poco tempo. Soldi sottratti alle spese alimentari; bastano a non far quadrare più un bilancio familiare. Noi avevamo proposto di aiutare queste persone».
E come?
«Si era detto di creare una task force per sovrintendere alla vicenda dei mutui. Ma non ho avuto segnali se non una sottovalutazione del fenomeno».
Però sembra che almeno il problema dei rincari preoccupi il governo. Per il premier Romano Prodi con gli ultimi aumenti si è perso il senso della realtà...
«Questo lo può dire un passante, non lui. Il governo ha le sue colpe. E non può fare lo scaricabarile. Anche perché non mi pare che il governo abbia messo in piedi la politica dei redditi che la Cisl chiede da un anno e mezzo. Per noi il problema va affrontato tutto insieme: salari, tasse, servizi, tariffe e prezzi. E per farlo bisogna convocare tutti quelli che possono dire qualcosa su questi temi. Per questo abbiamo minacciato lo sciopero generale. Ognuno deve assumersi le sue responsabilità. Finora a pagare sono stati solo lavoratori e pensionati».
Ci sono state risposte sui temi dello sciopero?
«No. Sta accadendo di tutto, ma è da luglio che non vediamo il governo. È stata fatta un’unica cosa seria, con l’accordo sul welfare. Poi si sono aperte delle crepe nella maggioranza e nessuno ha avuto più il coraggio di discutere con il sindacato. È stata abbandonata la concertazione».
Pollice verso anche su questi ultimi passi della Finanziaria?
«Per il contratto degli statali non ci sono le risorse. Poi non è stata capita la rilevanza di quanto è successo sulle ferrovie».
Con la liberalizzazione delle tratte principali?
«Tre mesi fa avevamo fatto un accordo e avevamo stabilito che con i soldi delle tratte migliori, quelle che danno più soldi, si finanziassero, quelle minori. Invece così i vantaggi se li prendono solo alcuni privati, mentre le perdite restano allo Stato. E non si capisce con quali soldi si finanzieranno le tratte minori. Poi avevamo stabilito che ci dovesse essere un unico contratto di lavoro per le ferrovie. Alla fine ci siamo ritrovati con un maxiemendamento che sconfessa tutto questo».
Poi c’è la partita di Alitalia. Anche su questo i sindacati lamentano di non essere stati sentiti dal governo. Ma uno sciopero sotto Natale non è eccessivo?
«Eccessivo è il governo. Non è mai successo che il proprietario di un’azienda di 20 mila persona non discuta per fare capire quali sono gli intenti. Il governo si sta comportando come con gli autotrasportatori. Prima silenzio per mesi e poi, con i disagi, si è convinto ad affrontare il problema».
Non è normale che le fasi che precedono la vendita di una azienda siano segrete?
«In questo caso non sapevano nulla le parti sociali, Confindustria compresa, e nemmeno l’opposizione politica. Non è un’azienda come un altra, ma il governo sembra preferire una soluzione che secondo me ricercava da circa due anni».
In che senso?
«Noi continuiamo a chiedere un chiarimento che non ci viene concesso. Ma sentiamo parlare di divisioni nel governo. Leggiamo che il presidente del consiglio vuole cedere a stranieri Alitalia».
Preferisce la soluzione italiana?
«Non possiamo essere l’unico grande Paese dell’Unione senza una grande compagnia di bandiera. E poi all’Italia serve una compagnia che faccia l’interesse del turismo italiano. E non il contrario».
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