Le pressioni statunitensi sul generale Pervez Musharraf, che sabato scorso ha proclamato lo stato di emergenza in Pakistan, hanno ottenuto un primo risultato: una marcia indietro, almeno a parole, rispetto all’annunciata sospensione delle elezioni legislative fissate per il prossimo gennaio. «Il voto si terrà secondo il calendario previsto», ha detto il premier Shaukat Aziz, che in precedenza si era distinto per confusione e ambiguità sull’argomento. Il procuratore generale Malik Abdul Qayyum è stato più preciso, chiarendo che l’attuale Parlamento sarà sciolto il 15 novembre e che le elezioni saranno tenute entro i due mesi successivi.
Questa novità, che giunge mentre continuano repressioni contro l’opposizione e limitazioni delle libertà civili, è indubbiamente la conseguenza dell’intervento di Washington su Musharraf. Il segretario di Stato Condoleezza Rice (che ieri sera ha anche telefonato al generale avvertendolo di un’imminente pubblica dichiarazione del presidente Bush) aveva ammonito che «la via migliore per il Pakistan è quella di un rapido ritorno a un percorso costituzionale, e quindi al regolare svolgimento delle elezioni». La Rice aveva inoltre insistito affinché Musharraf mantenesse la promessa, fin qui disattesa, di lasciare la divisa e con essa il ruolo di comandante delle forze armate, restituendo il Pakistan al potere dei civili. Non erano poi mancate minacce di passi ulteriori da parte americana: la revisione del piano di aiuti Usa, che vale miliardi di dollari, che avrebbe potuto seguire la già attuata sospensione dei colloqui sulla cooperazione militare.
Pressato dall’alleato-chiave americano (ma anche dall’Inghilterra e dall’Olanda, primo Paese europeo a decidere la sospensione degli aiuti al Pakistan mentre l’Ue si limitava ad annunciare l’intenzione di valutare lo stesso atto) il generale Musharraf si è rivolto ieri ai diplomatici stranieri accreditati a Islamabad chiedendo «comprensione» per la sua scelta di proclamare lo stato di emergenza e sostenendo di averlo fatto «per stabilizzare la situazione nel Paese». Colpevoli dell’instabilità - come già si sapeva - i vertici del sistema giudiziario «che hanno creato - nelle parole di Musharraf - con alcune loro decisioni una disfunzione nei pilastri vitali dello Stato», portando «a una situazione inaccettabile anche per gli ostacoli frapposti alla lotta contro i terroristi». Musharraf, assicurato come detto che le elezioni si terranno nella data prevista, ha ribadito il suo «concreto impegno per la democrazia» e di voler rinunciare come promesso alla divisa «per attuare pienamente la terza fase della transizione». Prima, però, dovranno essere attuate delle correzioni ai pilastri giudiziario, governativo e parlamentare».
E qui si arriva, appunto, alla questione della repressione. Che l’annuncio del rispetto della data delle elezioni non ha per nulla interrotto. Si calcola che siano ormai duemila le persone arrestate nelle retate degli ultimi due giorni messe in atto nelle principali città pachistane. Gran parte dei più alti magistrati del Paese si troverebbero agli arresti domiciliari. A Lahore e a Karachi la polizia ha assalito con manganelli e lacrimogeni due pacifiche manifestazioni di avvocati che contestavano le restrizioni imposte al sistema giudiziario: molti gli arresti e diversi i feriti. Sono state inoltre oscurate numerose emittenti Tv private, mentre un blitz della polizia nella tipografia di un importante quotidiano ha impedito l’uscita di un supplemento dedicato alla crisi in atto. Al tempo stesso sono stati regolati i conti con il principale partito islamico di opposizione, lo Jamaat-e-Islami: centinaia di militanti sono stati arrestati, tra loro anche il leader Qazi Hussain Ahmed.
Musharraf dunque picchia duro e la sua intenzione di voler restituire il Pakistan alla democrazia resta da verificare.
Ma ieri ha dovuto anche smentire personalmente la voce che era circolata secondo cui lui stesso era finito agli arresti domiciliari per iniziativa di militari insubordinati capitanati da un generale. «È soltanto un pessimo scherzo», ha detto a un giornalista francese l’uomo forte di Islamabad.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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