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Pakistan, strage talebana alle moschee

È tra le province pakistane col più alto tasso di gruppi sospettati di terrorismo. È quella dove l'estremismo islamico cresce più velocemente e i militanti hanno un'ideologia sempre più settaria. È - per dirla con le parole della Commissione per i Diritti Umani del Pakistan - «una minaccia per l'intero Paese». Si tratta del Punjab. E la cronaca di ieri, con l'ennesima strage di innocenti, ne è la conferma. Bombe a mano ed armi automatiche al braccio, i militanti del movimento Tehrik-i-Taliban Pakistan (Ttp) hanno sferrato un attacco a due moschee a Lahore, la capitale culturale del Paese, nonché casa della élite militare e d'intelligence. Per ore hanno tenuto prigionieri circa duemila fedeli della setta ahmadi – considerata eretica dall'islam ortodosso -, riuniti per la rituale preghiera del venerdì. Dopo alcune ore di scontri tra i miliziani e le forze dell'ordine, gli ostaggi sono stati tutti liberati. Il bilancio, però, è pesantissimo: oltre 80 morti e 100 feriti. E i numeri possono solo crescere. Cinque dei sette terroristi che componevano il commando lanciatosi contro la moschea di Model Town sono stati uccisi; mentre uno è stato arrestato. Il ministro della Giustizia del Punjab, Rana Sanaullah, fa sapere che si tratta di un teenager pashtun e punta subito il dito contro i gruppi che infestano l'area tribale del Waziristan, la regione al confine con l'Afghanistan considerata rifugio dei militanti talebani e di Al Qaida.
Poco dopo è la stessa rivendicazione dell'attacco ad avallare l'ipotesi. La strage porta la firma della branca del Punjab del Ttp, movimento armato clandestino talebano in lotta con il governo centrale di Islamabad e alleato di Al Qaida. Il gruppo è distinto dai talebani afghani, cui offre riparo e assistenza nell’attacco alle truppe internazionali in Afghanistan. L'«agenda» del Ttp prevede: applicazione della sharia; unità d’azione contro le truppe internazionali in Afghanistan; jihad in Pakistan e rifiuto di negoziare con il governo; lo stop alle operazioni militari nella Valle dello Swat e nel Nord Waziristan. Il governo centrale li accusa, tra le altre cose, di aver ordito l’assassinio di Benazir Bhutto nel dicembre 2007.
Stavolta, obiettivo del gruppo sono stati i musulmani ahmadi, da tempo nel mirino dei sunniti radicali. Gli ahmadi si professano musulmani ma sono ritenuti eretici dagli integralisti: non riconoscono Maometto come ultimo profeta e credono che Gesù sia sopravvissuto alla crocifissione per poi morire in Kashmir.
In Pakistan la comunità conta circa tre milioni di membri, residenti per la maggior parte nel Punjab, dove è in atto una vera e propria persecuzione religiosa che si concentra a Lahore e Faisalabad, la terza città della provincia. Qui lo scorso aprile tre commercianti ahmadi sono stati freddati a colpi d'arma da fuoco in quella che i leader della setta hanno denunciato come una «esecuzione mirata». Dalla promulgazione della Ordinanza anti-ahmadi (1984), che di fatto legittima le persecuzioni contro i presunti «eretici» - sono state uccise 108 persone. In rarissimi casi gli assassini sono stati arrestati e quelle poche volte che sono comparsi davanti ai giudici, sono stati prosciolti o scarcerati dopo un breve periodo di detenzione. Solo dall’inizio del 2010, prima della strage di ieri, erano stati uccisi almeno otto ahmadi nel solo Punjab.
Nell'ultimo anno il governo provinciale ha stanziato denaro, dispiegato forze e 007 sul territorio per contrastare le azioni dei gruppi terroristici. Ma come notano alcuni analisti, intervenuti sulle colonne del quotidiano nazionale Dawn, il problema è che le autorità affrontano la situazione in modo miope: «Pensano sia solo una questione di contro-terrorismo, mentre il problema è più profondo e ha le sue radici nell'odio e nell'intolleranza religiosa che percorre il Punjab».

«Non importa quanti miliziani verranno uccisi o arrestati dallo Stato – continua il direttore del Dawn, Abbas Nasir - Questi continueranno a crescere se le autorità non troveranno il modo e la volontà di sradicare la rete dell'odio che fa il lavaggio del cervello ai giovani».

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