«Pakistani i kamikaze che attaccano l’Afghanistan»

Quasi certamente lo era anche il terrorista che attentò al convoglio italiano il 20 dicembre. «In primavera previsto un aumento degli attacchi»

«Pakistani i kamikaze che attaccano l’Afghanistan»

Fausto Biloslavo

da Kabul

La maggioranza dei terroristi kamikaze, che negli ultimi mesi ha seminato morte e distruzione in Afghanistan, proveniva dal vicino Pakistan. Lo dichiara al Giornale il consigliere per la sicurezza nazionale del presidente afghano Hamid Karzai, Zalmai Rassoul, che gestisce i dossier più scottanti. Anche il kamikaze che è saltato in aria, lo scorso 20 dicembre, contro un convoglio italiano a Herat era arrivato dal Pakistan. Inoltre è probabile che non si trattasse di un afghano, ma di un pachistano. L’intelligence di Kabul conoscerebbe anche il nome grazie alle confessioni di Nur ul Baqi, uno dei “corrieri” afghani che accompagnava, dal confine pachistano, i terroristi suicidi sull’obiettivo. Lavoretto che svolgeva prima di venir arrestato all’inizio dell’anno, assieme a due aspiranti “martiri” pachistani.
La conferma della pista pachistana arriva anche da un preciso allarme dell’intelligence occidentale, di cui il Giornale è venuto a conoscenza. La segnalazione è stata diramata tre giorni prima dell’attentato al nostro convoglio, che per fortuna ha provocato solo tre feriti lievi. Il testo parla di «terroristi suicidi addestrati in Pakistan e diretti a Herat per colpire le truppe internazionali». A Herat, capoluogo dell’Afghanistan occidentale, ha sede il comando italiano dei centri di ricostruzione provinciale della Nato (Prt) di tutta la zona, con oltre duecento soldati. Il 23 dicembre, tre giorni dopo l’attacco suicida, che solo per l’imperizia del kamikaze non si è trasformato in una strage, le forze di sicurezza afghane hanno arrestato due talebani in possesso di telecomandi per far esplodere ordigni o autobomba a distanza e alcuni fogli con le istruzioni per il confezionamento di trappole esplosive, che stanno diventando sempre più micidiali e sofisticate.
«Il coordinamento e la cooperazione fra i talebani e Al Qaida è in aumento. Non c’è dubbio che esista un sistema di comunicazione da e per l’Irak, che si riflette sull’incremento degli attacchi suicidi in Afghanistan e la maggiore sofisticazione degli ordigni esplosivi», spiega Zalmai Rassoul. La rivelazione più inquietante riguarda la matrice pachistana dei 25 attentati suicidi in Afghanistan degli ultimi sei mesi, che hanno registrato un incremento del 200% rispetto al 2004. «In primavera ci attendiamo un ulteriore aumento. La maggioranza dei terroristi arrestati poco prima di farsi saltare in aria è composta da pachistani. Solo in tre casi ­ rivela Rassoul ­ gli attentati suicidi sono stati perpetrati da afghani, gli altri vengono dal Pakistan».
Uno degli afghani, mutilato e afflitto da una grave malattia che non lo avrebbe fatto vivere a lungo, è stato convinto a farsi esplodere nella provincia di Helmand. In cambio la famiglia ha ricevuto mille dollari, pochi soldi per noi, ma una cifra consistente in Afghanistan. «In Pakistan i talebani feriti in Afghanistan vengono tranquillamente curati negli ospedali. Fuori dai nostri confini esistono campi di addestramento e “fabbriche” di ordigni per gli attentatori suicidi, che vengono preparati psicologicamente e religiosamente all’azione», sostiene Rassoul.
Un articolo del New York Times del 15 febbraio, che si basa su confessioni dei terroristi catturati in Afghanistan prima di farsi saltare in aria, svela nei dettagli la rete dei kamikaze che parte dal Pakistan. In diversi casi il reclutamento è avvenuto a Karachi, il grande porto pachistano dove comincia il lavaggio del cervello degli aspiranti suicidi grazie a videocassette con sermoni di mullah integralisti che aizzano a diventare martiri in Afghanistan. Akhtar Alì e Sajjad, due aspiranti suicidi pachistani, arrestati dagli afghani, hanno seguito questa trafila per poi venire accompagnati, separatamente, a Quetta, capoluogo pachistano del Baluchistan, e infine a Chaman, una città afghana di confine.
A Chaman sono stati contattati dal “corriere” afghano Nur ul Baqi, che doveva accompagnarli sugli obiettivi, dove erano già arrivate le macchine minate o le cinture esplosive. Lungo la strada per Kandahar i tre sono stati arrestati.

Secondo le fonti di intelligence afghana del New York Times, il “corriere” dei kamikaze «ha fatto i nomi e i dettagli di altre bombe umane», provenienti dal Pakistan, «che aveva accompagnato a Kabul ed Herat» affinché si facessero saltare in aria.

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