Cultura e Spettacoli

Il Palau di Valencia si illumina con Maazel

Applausi a profusione per il concerto che ha inaugurato la Sala Principal, dotata di un’acustica eccellente, davanti alla regina Sofia

Alberto Cantù

da Valencia

Quarantamila metri quadrati di luce. Nuovo di zecca e di cantieri ancora aperti, il Palau de las Artes di Valencia si accende, al tramonto, di gialli che trascolorano nel verde e nel rosa. Tinge terrazze, giardini e corsi d’acqua lunghi sette chilometri. Abbraccia la città che festeggia i 700 anni della comunità valenciana, come da «privilegio reale» di re Pedro datato 9 ottobre 1365. La fascia architettonica di luce accoglie anzitutto gli invitati del «galà lirico» con cui si inaugura il Palau: in testa - anzi, in coda, come vuole il cerimoniale - la regina Sofia, cui la mega-struttura per musica, teatro, danza e teatro è intitolata.
Si tratta naturalmente di un galà iberico. Siamo nella Sala Principal (ve ne sono altre tre): 1800 posti, 4 geometrici ordini di palco, il display dietro la poltrona per seguire le opere, l’architettura che ti avvolge fra poltroncine blu e legno d’acero. Il concerto è a due mani. La prima parte la dirige Lorin Maazel, che per tre anni seguirà l’orchestra, composta oggi di cento elementi, valenciani provenienti però da tutto il mondo. Sarà invece Zubin Mehta a curare le stagioni d’opera oltre a dirigere il 25 un concerto con la Israel Philharmonic e provvedere a un concorso di canto.
Iberia, dicevamo. Nel caso della Carmen del francese Georges Bizet è una Spagna tutta di fantasia, di secondo grado, dunque più vera del reale e dove l’esotismo è bisogno di verità. Vengono proposti estratti dal famosissimo opéra-comique. Nel Preludio, scritto a opera conclusa, Maazel e i suoi prodi spiegano anche ai sordi la festa, il colore locale, la luce mediterranea, lo splendido chiasso da circo, come lo definì Nietzsche. Purtroppo il direttore taglia la seconda parte del Preludio, quella dove la festa si muterà in tragedia.
Star Maazel, star Angela Gheorghiu, il marito Roberto Alagna biancovestito e il baritono Carlos Alvares. La parte della protagonista è scritta per mezzosoprano, ma la Gheorghiu, eclettica e di forte temperamento, non teme l’habanera e coniuga finezze, colori e accenti drammatici anche nel finale. Quanto ad Alagna, tenore lirico che troppo spesso affronta il repertorio spinto, la parte di don José gli calza come un guanto di velluto, talvolta un po’ logoro. Alvares, da baritono grande e di classe, affronta i suoi couplets con esiti egregi. Gli applausi non si contano. L’acustica è davvero eccellente ed esalta le squisitezze di Maazel negli Intermezzi secondo e terzo.
Nella seconda parte del concerto tocca ad Enrique García Asensio affrontare quel genere tipicamente spagnolo che è la zarzuela, teatro misto di parti in prosa e parti musicate. Inizia con il titolo più noto di Ruperto Chapí, La revoltosa del 1897, di cui propone il noto preludio e chiude con un erede di Chapì: il valenciano José Serrano, ovvero Te quiero Morena con la calda lettura di Alagna. Il ritorno sul podio di Maazel è per due celeberrimi compositori spagnoli del ’900. Il primo è Rodrigo, d’un folclore più prevedibile e i suoi quattro bei Madrigales amatorios (eccelle Ofelia Sala); il secondo si chiama Manuel de Fallia col suo mordente Cappello a tre punte, partitura nella quale il folclore non ha nulla di turistico o cartolinesco.

Il concerto aveva aperto con l’Inno nazionale e con l’Inno, stavolta eseguito integralmente, si conclude non prima dell’esecuzione di un altro inno: quello della Comunità valenciana del quale è autore il buon Serrano.

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