A Palazzo Chigi l’ufficio stampa non taglia ma assume

RomaPiù che una sala stampa, quella di Palazzo Chigi è ormai una sala d’attesa. Tanto che ora, in nome del rigore, sono stati tagliati anche i quotidiani. E così le stecche portagiornali di legno su cui ogni mattina venivano attaccati Corriere della Sera, Repubblica, Giornale e via andando sono ora irrimediabilmente vuote. Per un risparmio di una decina d’euro o poco più, visto che di ogni testata era disponibile una sola copia. Una scelta curiosa, tanto che a pochi metri - nella sala stampa della Camera o del Senato - i quotidiani ci sono ancora. D’altra parte, una sala stampa senza giornali è una contraddizione in termini.
Però, a Palazzo Chigi hanno deciso di dare l’esempio. E così dai pc delle diverse postazioni è possibile consultare le agenzie di stampa ma non navigare su internet, ormai primo strumento di lavoro per qualunque giornalista. Di più: quella del governo italiano è l’unica sala stampa dei Paesi occidentali dove non è accessibile il wi-fi. Se un giornalista (accreditato) si presenta con il suo pc non può collegarsi. Cosa che nella maggior parte delle strade di Parigi qualunque francese può fare gratuitamente.
Vabbè, direte voi. In nome del rigore questo e altro. Eppoi seppure i giornalisti hanno qualche difficoltà a lavorare poco male. Ma qui il punto è un altro. È che si parla di risparmi risibili: quanto costano sei-sette giornali al giorno o un collegamento flat a internet oppure tenere online una rete wi-fi inutilizzata? E così sono sempre meno i giornalisti che la frequentano e sempre più i tecnici delle tv che ci bivaccano e fanno pisolini.
Con il paradosso - questo sì, davvero notevole - che di soldi per la comunicazione il governo Monti ne sta spendendo mica pochi. La struttura di Palazzo Chigi che si occupa dei media non solo ha riconfermato 10 contratti esterni del precedente governo, ma ha portato a casa l’assunzione di altre tre new entry (Salemi, Sarno e Sgueo), di due segretarie (De Agostini e D’Ercole) oltre che ovviamente di Betty Olivi, portavoce di Monti, e Amalia Torres, responsabile delle relazioni con la stampa estera. Con un dettaglio: pescando da chi è già nella pubblica amministrazione non si spenderebbe una lira in più, andando a prendere esterni invece si firmano contratti da centinaia di migliaia di euro.
Gli esterni in questione, infatti, sono inquadrati come dirigenti, chi di prima chi di seconda fascia, con stipendi che vanno da 50-60mila euro fino a 200mila (più la «diretta collaborazione», un cadeau mensile di 800 euro netti che arrivano anche se si è in ferie o in malattia). E ancora: sono stati da poco nominati i tre coordinatori dell’ufficio stampa, due esterni alla Pa (Dragotta e Sgueo) e un interno (Gianolla). Con il paradosso che la nomina dell’unico interno è in violazione della legge 150 del 2000 che stabilisce che i responsabili degli uffici stampa debbano essere giornalisti iscritti all’albo.

Eppure tra i ruoli della presidenza del Consiglio - parliamo quindi di persone che percepiscono uno stipendio perché assunte a tempo indeterminato - d’iscritti all’albo ce ne sono. Di più: ci sono perfino giornalisti del Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti. Ma che si occupano d’altro.

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