Roma - La tirata d'orecchie è arrivata, forse non a caso, alla vigilia delle feste. Quando la tentazione di abbandonare la postazione di lavoro di Palazzo Chigi per lo shopping nelle vie del centro, magari con l'auto di servizio, si fa sentire. E la cosa non è piaciuta ai dipendenti della presidenza del Consiglio dei ministri, che hanno replicato con un aforisma di Oscar Wilde riportato in un volantino del sindacato Rdb Cub: «Il dovere è ciò che ci si aspetta dagli altri». Un modo per dire al segretario generale della presidenza del Consiglio che quella circolare nella quale si chiede ai capi dipartimento di far rispettare la disciplina all'interno del palazzo più importante del governo, se la poteva proprio risparmiare. Eppure se il vertice dell'amministrazione di Palazzo Chigi ha sentito il bisogno di ricordare a chi di dovere l'obbligo di controllare «la presenza giornaliera dei dirigenti e del personale dipendente» una qualche ragione ci sarà.
Il quadro generale delle cose che non vanno emerge quando il segretario generale Carlo Malinconico richiama l’attenzione sui vari obblighi ai quali si dovrebbero attenere i dipendenti di Romano Prodi: «Rispettare l'orario di lavoro, adempiere alle formalità previste per la rilevazione delle presenze»; «avere cura dei locali, mobili, oggetti, macchinari, attrezzi strumenti e automezzi a lui affidati». Non usare questi «per ragioni che non siano di servizio». Ad esempio le linee telefoniche per questioni private, a meno che non ci sia una situazione di emergenza. Le auto blu, poi, devono essere usate solo per ragioni di servizio e non per «trasportarvi abitualmente persone estranee all'amministrazione».
Ma a preoccupare il vertice dell'amministrazione della presidenza è soprattutto la rilevazione delle presenze attraverso il tesserino magnetico personale. I dirigenti devono mettersi in condizione di verificare se i dipendenti sono presenti accedendo al sistema informatizzato collegato agli ingressi. E a questa moderna variante del cartellino da timbrare, non devono sfuggire i vertici. Nemmeno «lo scrivente», cioè Malinconico che nella circolare annuncia che d'ora in poi striscerà regolarmente il suo cartellino magnetico.
Tutti obblighi previsti dal contratto. Che comportano responsabilità «civili e penali» per i dipendenti che non li rispettino o verso quei dirigenti che si dimostrino un po’ troppo «tolleranti». Toni duri che il sindacato Rdb-Cub - il più a sinistra sulla piazza - non ha apprezzato.
Ma che stonano anche con il trattamento di favore concesso ai dipendenti della presidenza del Consiglio. Come quello sulla pausa pranzo. La maggior parte dei dipendenti pubblici può infatti rinunciare al break ottenendo l’anticipo dell’orario di uscita. Tutti gli altri statali devono però rinunciare al buono pasto, mentre i dipendenti di Palazzo Chigi no. Il loro contratto integrativo prevede che possano lavorare senza interruzione mantenendo fermo «comunque il diritto alla attribuzione del buono pasto». Su 4.
000 dipendenti, quelli che non hanno usufruito di questa possibilità si contano sulle dita di una mano. Pochi «fessi» - assicurano amministratori che frequentano Palazzo Chigi - visto che gli uffici del governo intorno all’ora di pranzo sono comunque deserti.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.