Palazzo Isimbardi riscopre e mostra il valore del tempo

Vittorio Sgarbi: «Una proposta grandiosa»

Gianandrea Zagato

Sull’evidenza del tempo non sembrano esserci dubbi. Ci viviamo immersi, ci passa accanto, non ne abbiamo e, quando finisce, be’ il tempo ricomincia. Profilo logico di una delle più profonde analisi filosofiche, che quando guardiamo il tempo da vicino lo misuriamo con il presente, con quell’istante che non è né passato né futuro. Il presente che non passa e che la Provincia di Milano ferma.
Come? Con una mostra di dieci orologi «impero», realizzati tra la metà del Settecento e i primi anni del Novecento. Dieci monumentali preziosi che, precedentemente, erano sparsi qua e là per Palazzo Isimbardi e che, dopo meticoloso lavoro di restauro, oggi, sono restituiti alla loro funzione originaria. Patrimonio che non «perde un colpo» annota Anselmo Grimoldi, virtuoso della pendoleria antica, che ha riportato alla luce questo valore pubblico di antica bellezza e che va fiero «di quel Luigi XVI trovato nelle cantine del Palazzo con gli ingranaggi sventrati e sostituiti da un meccanismo a pile». Gioiello tra gioielli come quella luna di smalto per archi di trionfo d’oro, ricoperti di fregi e rilievi, ninfee e amorini. Quadranti di una stagione d’oro che, a Milano, all’industria dell’orologeria procurò un primato europeo di qualità sia nella meccanica sia nella tecnica di fusione in bronzo.
Passato che Filippo Penati definisce «investimento intoccabile dal tempo»: convinzione che spinge il presidente della Provincia a tentare l’acquisto di un orologio napoleonico col quadrante che segna dieci ore anziché dodici, come voluto all’epoca dall’imperatore. Preannuncio del valore di centomila euro, mentre nella penombra di Sala Affreschi (da oggi al 28 marzo, da martedì a sabato dalle 10 alle 19) si può udire, dalle fessure delle teche di cristallo, il suono delle pendole spezzato dalla colonna sonora di Michele Arcelli e dalla proiezione dei dodici segni zodiacali (illuminazione curata dal light designer Vincio Cheli) che sono motivo ricorrente e simbolico del tempo e del suo valore. Significato che, nel bel catalogo edito da Skira, Armando Torno ci declina da Eraclito a Parmenide - «ovvero di un divenire e di un essere immutabile» - passando per Platone e Aristotele, «Tempo è il numero del movimento secondo il prima e il poi», e giù dal Friederich Nietzsche del «tempo è infinito e la materia finita e per tale motivo tutto è destinato a ritornare attraverso le combinazioni delle cose» sino ad Agostino, il più filosofo dei Padri, e passo dopo passo a Kant, Heidegger, Bergson e Proust.


«Cenni di una storia che a volte coincide con quella del pensiero stesso» avverte Torno che però consiglia di approfondire altri dettagli «senza esagerare»: «A coloro che chiedevano a Lutero, “Cosa faceva Dio prima della creazione?”, egli rispondeva: “Stava costruendo l’inferno per chi fa domande simili”».

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