Il palco del beat che lanciò Patty Pravo

Riparlare del Piper, a oltre quarant’anni di distanza, significa evocare quella miscela di provocazione culturale e frivolezze adolescenziali che fu tipica degli anni Sessanta. Dal Piper infatti salparono Mal dei Primitives, Wess, Rocky Roberts ma anche la grandissima Patty Pravo, i Procol Harum ma anche certi effimeri gruppi yé yé, e pure alcuni artisti in bilico tra i due opposti, e tuttavia destinati a influenzare potentemente il divenire del pop nostrano: come una Caterina Caselli che avrebbe ottenuto il successo con la provocazione pre-femminista di Nessuno mi può giudicare, e avrebbe alternato canzoni di consumo con pagine dei Rolling Stones e di Guccini. E ancora Renato Zero, Rita Pavone, le sorelle Bertè. Vi bazzicarono Duke Ellington e Pier Paolo Pasolini, Lionel Hampton e David Bowie, insomma alcune vette assolute della cultura dell’epoca.
Anche per questo è doveroso rievocare quanto il Piper diede al costume e alla musica, contribuendo a far sì - scrive adeguatamente uno storico come Gianni Borgna - che «dapprima circoscritto alla pura identificazione di una musica elettrificata e accentuata ritmicamente, il termine beat» diventasse simbolo di cultura giovanile, estendendosi «a tutto quanto rappresenta il nuovo modo di esprimersi lontano dagli schemi del passato». Sicché «nessuno di noi avrebbe immaginato che questa nuova realtà avrebbe trasformato le abitudini di intere generazioni».
Nacquero insomma dall’ex cinema di via Tagliamento, tramutato in tempio del beat e in parte del rock dall’intuizione dell’avvocato romano Alberigo Crocetta, alcune tra le tendenze più vitali della nostra musica giovanile, fatta eccezione per i cantautori da Paoli e Tenco fino a De André e Guccini, che diedero agli anni Sessanta canori il loro maggior spessore ma il cui talento ebbe altre sedi d’incubazione. Il resto nacque appunto al Piper, in breve divenuto così popolare che - racconta Patty Pravo - «ero a Londra in cerca di buona sorte quando sentii parlare di quel nuovo locale romano da cui si irradiavano fermenti nuovi e vivaci: così salii su un aereo e raggiunsi Roma, cogliendo una delle grandi occasioni della mia vita artistica».
In origine la sala sarebbe dovuta diventare la sede della Bottega teatrale di Vittorio Gassman.

Prevalse invece l’idea di farne un punto di riferimento per la musica dei giovani, specie di quel filone che dall’Inghilterra beatlesiana stava dilagando per tutta Europa, e che non trovava ancora spazio in una Roma dove «per la voglia di ballare dei giovani non c’era - rammenta ancora Borgna - che qualche night club».

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