«H onestamente belli e perfettamente commodi». Così descriveva i suoi edifici Palladio, quell'Andrea di Pietro della Gondola (1508-1580) che nasceva cinquecento anni fa a Padova, pronto a modellare con le sue creazioni classiche il paesaggio veneto. Belle e comode dovevano infatti essere le architetture candide che punteggiavano la verde campagna latifondiaria, creazioni di una mente sublime che s'inventò l'architettura di villa. Sommo architetto e geniale scenografo, Andrea Palladio piacque a tutti e piace ancora, se è vero che il suo stile è stato a lungo imitato in Europa e osannato in America. Per capire davvero la grandezza del Palladio, bisognerebbe ammirare da vicino le sue tante ville venete (24 delle quali entrate a far parte del Patrimonio mondiale dell'umanità, come Villa Almerico o Villa Foscari detta «La Malcontenta»). Milano offre da oggi un assaggio di questo splendore anche a chi vuole rimanere in città, grazie a una mostra nata dalla feconda collaborazione tra un fotografo e un architetto contemporanei. «La mano di Palladio», allestita nella sala delle Otto Colonne a Palazzo Reale secondo un progetto di Paolo Portoghesi, è una sorta di «back-stage» dell'omonimo volume firmato dall'architetto insieme al fotografo Lorenzo Capellini ed edito da Allemandi: vi compaiono infatti gli scatti che quest'ultimo ha realizzato per illustrare l'euritmia, la compostezza, la simmetria delle ville venete e il loro incessante rapporto con la natura circostante. Sono i testi di Paolo Portoghesi, decano degli architetti italiani, ad accompagnare il visitatore in questo suggestivo percorso fotografico suddiviso in sette aree tematiche dai titoli tipicamente palladiani. Tra le più significative: la «gioia del cantiere», «la loggia», elemento fondamentale dell'architettura del Palladio, e la sezione dedicata al valore del numero e della proporzione, quasi della «musicalità» dell'architettura.
Con un allestimento a pianta simmetrica che per pulizia e cura rimanda all'estetica palladiana, Portoghesi ha voluto raccontarci, attraverso l'obbiettivo di Capellini, la sua passione per un architetto cittadino del mondo che, al pari di Leon Battista Alberti, ha creduto nella rinascimentale armonia delle proporzioni, nella bellezza, nella misura.
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