Milano - Sarà anche vero che un tozzo di pane non si nega a nessuno. Ma quando il pane arriva a costare - come a Milano - 3,40 euro al chilo, anche regalare una «michetta » può diventare un problema. Unaumento ingiustificato sul quale non vigila nessuno. Così il prezzo continua a lievitare e ormai ha raggiunto livelli da «panettone». Gli ultimi dati Istat sono allarmanti: il costo è aumentato del 7,5% rispetto a settembre 2006 (in accelerazione dal +4,2% di agosto) mentre la pasta è cresciuta del 4,5%. Il tutto a fronte di un’inflazione che segna un +1,7%. I dati Istat sono arrivati proprio nel giorno in cui l’Antitrust ha annunciato l’avvio di un’istruttoria sui prezzi del pane a Roma e provincia.
Il Garante per la concorrenza, vuole infatti verificare se l’Unione panificatori della capitale ha dato vita a un cartello anticoncorrenziale, fissando un listino dei prezzi comune con l’indicazione degli aumenti legati ai rincari del costo del grano. Un prezzo «consigliato» che, secondo l’Autorità, potrebbe aver causato «aumenti generalizzati e sostanzialmente uniformi» negli oltre 8.000 panettieri della provincia di Roma.Ma il Garante riuscirà a intervenire in tempi rapidi? Assolutamente no, basti pensare che la fine della fase istruttoria è fissata per il 18 luglio 2008. Nel frattempo a Roma il pane continuerà a essere particolarmete «salato». Un problema che non riguarda solo la Capitale, ma che sta mettendo in crisi l’economia domestica delle famiglie italiane. Aumenti più o meno generalizzati, ma che risultano macroscopici sul fronte alimentare.
L’Istat sottolinea infatti che sotto pressione risultano anche i prezzi di carne (+2,8%), con in particolare il pollame in rialzo del 6,7%, latte (+3,2%), frutta (+5,6%), riso (+3,4%), uova (+3,8%), caffè (+3,2%). Scontrino finale: una spesa-tipo per una famiglia di 4 persone è rincarata di 24 euro al mese. Questo almeno secondo le stime ufficiali, probabilmente arrotondata per difetto. Il contraccolpo sui consumatori è stato immediato: un calo record nei consumi di pane con una riduzione del 7,4% e della pasta di semola del 4,5%.
È certo comunque che gli aumenti non dipendono dall’andamento del prezzo del grano (fissato su valori internazionali) che incide menodel10%sul valore finale. Una differenza che dimostra come nella forbice dei prezzi alla produzione e quelli al consumo ci sia più di un furbo, se non più di uno speculatore. Ma per gli italiani non mancano altre voci «prosciuga- portafoglio»: a cominciare dal caro-scuola. In coincidenza con la ripresa delle lezioni, gli aumenti sono stati in alcuni casi addirittura tripli rispetto all’inflazione generale.
Lo scorso mese le rette di iscrizione alla scuola secondaria sono aumentate del 4,9% rispetto a settembre 2006, quelle alla scuola primaria del 4,6% e quelle per iscriversi all’Università del 4%. Di chi la colpa? La verità è che - inmancanza di controlli e verifiche efficaci - c’è chi su queste debolezze «strutturali» riesce ad arricchirsi senza farsi troppi scrupoli; a impoverirsi sono invece gli italiani, destinati a quest’anno a un salasso extra di almeno 288 euro. Ma le associazioni dei consumatori precisano che la «mazzata» sarà non meno di 500 euro.
Secondo l’Istat, nell’ambito delle 20 città capoluogo di regione, gli aumenti tendenziali più elevati dell’indice NIC (l’indice generale dei prezzi) si sono verificati nelle città di Reggio Calabria (più 2,2%), Palermo (+2,1%) e Napoli (+2,0%). Ma anche nel resto d’Italia c’è poco da stare allegri.
L’unico cittadino a sbandierare ottimismo si chiama Paolo De Castro e di mestiere fa il ministro delle Politiche agricole: «Guardo con fiducia ai dati Istat che mostrano come, nonostante l’incremento eccezionale dei prezzi agricoli internazionali, l’indice generale dei prezzi sia rimasto invariato. È stato quindi per ora scongiurato il temuto caro spesa per gli italiani». Scusi ministro,malei ci è o ci fa?- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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