Cultura e Spettacoli

Pantheon culturali: perché non abbatterli?

Ognuno ha il proprio, e saltuariamente le pagine culturali dei giornali li rinnovano. Purtroppo. Monumentale tempio per tutti i maîtres à penser e affollato robivecchi di ogni possibile idea, il Pantheon è un pericolosissimo «nonluogo» del pensiero, costretto per sua stessa natura a modificarsi nel tempo, rinnovando avventatamente nomi e volti, creandone per gemmazione ideologica sempre di nuovi, mutando furiosamente di posto agli autori sugli scaffali, acquistando e svendendo in maniera compulsiva nuovi maestri, vecchie icone, padri nobili e giovani outsider.
Tra antenati intoccabili e improvvise infatuazioni, i Pantheon culturali - di destra come di sinistra - rappresentano da tempo il divertissement preferito di quotidiani e riviste di area, di partiti politici, coalizioni, Fondazioni, think tank. Tintin. Che essendo stato creato da un collaborazionista, è patrimonio della destra, pur non dispiacendo, in segreto, a certa sinistra.
Tirato a destra, riletto da sinistra, sdoganato da sinistra, riscoperto a destra, non esiste uno scrittore del Novecento, un filosofo, un eretico del pensiero, un padre della patria, un poeta, né un cantautore, un cartone animato, una trasmissione televisiva, un film pop o una pellicola d’essai o i bakugan, che almeno una volta non sia finito inopinatamente in un pantheon. Di destra o di sinistra che sia. A volte frutto di rigorose e necessarie operazioni di repulisti delle idee e dell’immaginario collettivo da parte di spregiudicati ideologi, più spesso spericolate provocazioni giornalistiche figlie di un cinico tatticismo che punta unicamente all’amplificazione mediatica, la fondazione di un nuovo pantheon o il rinnovamento di uno già esistente è diventato ormai un giochino intellettuale nel migliore dei casi noioso, nel peggiore inutile.
L’ultimo - inutile - ieri sull’Unità, le cui pagine culturali hanno liberato, da sinistra, un autore a lungo stretto nell’abbracciato della destra: Tolkien. Uno scrittore, per inciso, adottato dagli hippies nei campus americani negli anni Sessanta, in Italia eletto a classico dalla «nuova destra» fin dai tardi anni Settanta, diventato patrimonio globale grazie alla trilogia di Peter Jackson fin dal 2001 e oggi ripudiato dalla nuova destra finiana. Grottesco destino di un capolavoro universale.
Pantheon. Perché non raderli al suolo? Affollati, instabili, perennemente in ristrutturazione, vanno incontro allo stesso destino riservato ai due cartigli che, di caso in caso, sono appesi all’ingresso: «Destra» e «Sinistra», categorie ormai vecchie, sorpassate, illogiche rispetto alla realtà attuale, come ancora di recente ha ripetuto un sociologo per noi al di sopra di ogni sospetto come Sabino Acquaviva in La fine di un mito. Destra sinistra e nuova civiltà (Marsilio). È ora, in tutti i sensi, di superare gli steccati. Di cambiare linguaggi. Di abbattere i pantheon.
In quasi tutte le civiltà i pantheon religiosi tendevano a crescere col passare del tempo. Quelli culturali, invece, sono portati a trasformarsi in micidiali frullati ideologici. Soltanto per stare alla storia recente: quando Romano Prodi e Arturo Parisi si chiusero in una villa sopra i colli bolognesi insieme all’élite dell’intellighenzia di sinistra, nell’autunno del 2005, per gettare le basi ideali e spirituali del futuro partito democratico, ne uscirono con una lunga lista. Eterogenea, si dice in questi casi, parecchio eterogenea. Iniziava con Hannah Arendt e Willy Brandt e finiva con il «democratico sconosciuto» di Tienanmen, passando per Aung San Suu Ky e il premio Nobel per l’economia Amartya Sen, sfiorando il pensiero femminista, tenendo dentro a fatica l’opera omnia di Antonio Gramsci e trovando il proprio culmine in Tocqueville. Quest’ultimo solo casualmente padre putativo e faro filosofico della destra liberale, tanto da divenire nello stesso periodo nome-icona di un noto aggregatore per blog liberali, conservatori e moderati: «TocqueVille - La città dei liberi», appunto. Anche la Rete ha i suoi pantheon virtuali.
Un pantheon personale ce l’ha ogni rivista culturale che si rispetti (indimenticabile, nell’indifferenza assoluta in cui fu eretto, quello del Domenicale di Marcello Dell’Utri, nel numero speciale di 12 pagine di inizio 2008, dove si facevano fuori Evola, Croce, La Rochelle, Elémire Zolla e il liberalismo tout court e si portavano dentro Borges, Céline, Dostoevskij, Heidegger, il Mitomodernismo e il liberalismo popolare). Ce l’ha ogni nuovo leader degno di questo nome (a esempio Luca di Montezemolo quando, nel 2007, preparando la poi abortita discesa in campo, tenne il suo ultimo discorso da presidente di Confindustria citando significativamente Winston Churchill e Tony Blair invece che Adam Smith o Milton Friedman, e accogliendo tra i «maestri» della sua Italia Futura il padre del sindacalismo rivoluzionario Georges Sorel). E ce l’ha, naturalmente, ogni nuovo partito. Quando, la scorsa primavera, si fusero Alleanza nazionale e Forza Italia, il nascente Partito delle libertà per prima cosa si dedicò alla fondazione del proprio pantheon. Dentro trovò posto ciò che portavano in dote gli ex «colonnelli» missini (Gentile, Pirandello, Gobetti, d’Annunzio, Montanelli, ma anche Fellini, Leone, Battisti e Mogol, però senza Almirante) e ciò che avevano da offrire gli intellos berlusconiani (Cormac McCarthy, The patriot di Mel Gibson, i discorsi di Reagan e della Thatcher, i pamphlet di Oriana Fallaci, il sempreverde von Hayek, il compianto Baget Bozzo).
Il risultato, in effetti, più che un pantheon è una Wunderkammer. È per questo, forse, che le pagine culturali del Secolo d’Italia e FareFuturo si sono incaricati da un po’ di fare le pulizie nella soffitta della «grande casa» della Destra. Incaricati da chi, non si sa. Comunque, i finiani hanno sbattuto fuori gli ormai impresentabili e stantii Jünger, Schmitt, Nolte e camerati vari per far posto ai più glamour e freschi Hannah Arendt (che sta bene dappertutto), Kerouac (riscoperto da destra quarant’anni dopo la sinistra), John Fante (già spolpato fino all’osso da Fazi e Einaudi), l’operaismo di Mario Tronti, Asor Rosa scippato alla sinistra (la quale è felicissima dello scippo), il cadavere ancora caldo di Alda Merini, Fiorello, Culicchia, De Carlo.

Alfonso Signorini, invece, l’hanno lasciato spocchiosamente a Libero.

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