Cultura e Spettacoli

Papa Benedetto XVI si commuove davanti alla fiction su Wojtyla

Nella miniserie Rai, Ratzinger si rivede con Giovanni Paolo II: «Questo film è un attestato dell’amore che proviamo per lui»

Paolo Scotti

da Roma

Un Papa che ne incontra un altro. Lo straordinario potere evocativo delle immagini può fare di questi miracoli. Quando ieri, nell’Aula Paolo VI in Vaticano, davanti a 8500 invitati, a trentadue cardinali, a ventitré vescovi, ai vertici della Rai e della politica italiana (c’erano Andreotti, Pera, Buttiglione, Prodi, Fassino, Veltroni) ma soprattutto davanti a lui, sono apparse sullo schermo le immagini di Giovanni Paolo II - ovvero dell’attore Jon Voight, nei panni di Papa Wojtyla -, un brivido di assoluta commozione ha percorso la schiena dei presenti. E quando il papa «finto» si è rivolto a un attore vestito da cardinale, dicendogli: «Lei dovrà aiutarmi, mio caro cardinal Ratzinger», tutti gli occhi si sono rivolti al Papa vero, seduto anche lui davanti allo schermo, e un applauso scrosciante ha salutato l’imprevisto, inedito, emozionante «incontro» mediatico.
Mai era successo che un film-tv venisse proiettato in anteprima mondiale davanti a un Papa; mai che un Papa pubblicamente potesse vedere se stesso rappresentato da un altro. Quest’onore è toccato a Giovanni Paolo II: la fiction Rai-Lux Vide che i telespettatori di Raiuno potranno seguire domenica 27 e lunedì 28. Ma che intanto, ieri, è stata sottoposta al giudizio del suo primo e più atteso spettatore.
«Una visione impressionante - è stato il primo commento di Benedetto XVI - che onora la memoria del mio illustre e amato predecessore. Un film che rende un servizio importante coniugando esigenze di divulgazione con quelle dell’approfondimento». Naturalmente il Papa non ha espresso giudizi propriamente artistici: «Al di là di ogni valutazione particolare - ha notato - questo film costituisce un ulteriore attestato dell’amore che noi tutti abbiamo per il Papa. E del nostro desiderio di ricordarlo. Di rivederlo». E non c’è dubbio che con questo affresco di quarant’anni di storia, pubblica e privata, del Papa più amato del secolo, la Rai punti molto sul coinvolgimento emotivo pressoché universale che il nome di Wojtyla evoca. Ma da un punto di vista artistico, com’è Giovanni Paolo II? In linea con lo stile generalmente grossolano di molte fiction religiose, o teso invece a un livello superiore? La versione offerta a Benedetto XVI era stata ridotta dalle tre ore originali a due: questo ha forzatamente comportato incongruenze narrative e ritmi troppo serrati. L’impressione generale è però buona. Per l’intensa e penetrante interpretazione di Jon Voight, innanzitutto: credibile sia come l’atletico Wojtyla dei primi anni, sia come il tenerissimo «nonno» degli ultimi giorni (un suo primo piano, nella scena dell’apertura della Porta Santa, è impressionante). Poi c’è l’abilità con cui - nello sterminato materiale a disposizione, di eventi epocali o aneddoti minimi - gli sceneggiatori hanno scelto cosa raccontare. Si parte dall’attentato del 13 maggio 1981: mentre il Papa prega la Vergine si vede - in un’efficace sintesi - l’immagine di sua madre: e parte il flashback. Che narra il «se sbaglio mi corrigerete», il primo viaggio in Messico e poi quelli in Polonia, il sostegno a Lech Walesa e la copertina di Time (che lo definì «superstar»), l’amicizia con Gorbaciov e la caduta del Muro, la straordinaria invenzione delle Giornate Mondiali della Gioventù, fino alla scoperta d’essere affetto dal morbo di Parkinson, alla tragedia delle Torri Gemelle, all’ultima, straziante apparizione muta dalla finestra di piazza San Pietro. Il tutto attraversato da varie immagini autentiche di repertorio. E la curiosità di un episodio ignoto, tanto inconsueto da sembrare inventato (e invece autentico): l’incontro in alta montagna con un barbone, e la visita che il Papa fa alla sua baracca. Indubbiamente emozionanti le ultimissime parole del Papa negli ultimissimi giorni: «Ce le ha raccontate il suo segretario personale e siamo i primi a inserirle in un film», fa notare Luca Bernabei, della Lux. Quando il Papa tentò invano di parlare ai fedeli, rientrando commentò: «Ma domani ci riprovo».

E la sua ultima frase in vita fu: «Lasciatemi andare alla Casa del Signore».

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